Che succede a Francoforte?  Parole dure e il mercato va su. È un paradosso? No. Dobbiamo aspettarci un rilassamento e non una stretta della politica monetaria nei prossimi mesi, in linea con le attese dei mercati.

Dopo la conferenza stampa in cui giovedì scorso Christine Lagarde ha annunciato il proseguimento della restrizione monetaria della Bce, molti si sono preoccupati della debolezza della strategia comunicativa della Banca. In realtà il problema non è di comunicazione ma di credibilità della strategia.

La Bce ha deliberato un’ulteriore stretta per far fronte agli alti tassi di inflazione della zona euro, con un aumento dei tassi interesse di riferimento di 50 punti base. La stretta è stata rinforzata dall’annuncio di ulteriori aumenti dei tassi a marzo.

Eppure, i mercati hanno reagito in maniera euforica: i rendimenti dei titoli di stato dei paesi sono calati e i mercati azionari hanno chiuso in rialzo. 

Il rendimento del Btp a 10 anni è addirittura sceso di 40 punti base. Più che nella giornata del famoso discorso del “Whatever it takes” di Mario Draghi nel 2012.

Nel messaggio di Lagarde ci sono due contraddizioni: in primo luogo, c’è l’annuncio dell’intento di un'altra stretta monetaria, ma condizionato dal riconoscimento che la decisione dovrà dipendere dagli sviluppi economici.

In secondo luogo, Lagarde ha ammesso che l’inflazione sembra iniziare a scendere seguendo la discesa dei prezzi energetici, osservazione che renderebbe superflua la stretta monetaria, per poi indicare il risultato come legato alla stretta monetaria stessa.

Le incertezze della Bce

Non è la prima volta che (scontando forse un po’ maschilismo macroeconomico) Lagarde viene accusata di errori di comunicazione. In questo caso, tuttavia, se si guardano i dati, il problema non è nel messaggero, ma nel messaggio stesso.

La posizione della Bce, in linea con il suo mandato, è motivata da rischi che non si sono (ancora?) materializzati. In particolare, il rischio che le aspettative si disancorino e inneschino una spirale prezzi-salari.

Se questo rischio si concretizzasse, la banca perderebbe il controllo dell’inflazione insieme alla sua credibilità.

La fiammata inflazionistica però è dovuta in larga misura a fattori al di fuori del controllo della Bce: i forti shock ai prezzi energetici dovuti all'aggressione russa dell'Ucraina; la dislocazione post-pandemia delle catene globali di produzione; le ricadute sui prezzi dei beni di consumo dell’eccesso di domanda negli Stati Uniti, dovuto al grande stimolo fiscale.

Questi tre fattori sembrano, al momento, in via di superamento, e non per merito della stretta monetaria. I prezzi del gas sono scesi ai livelli di prima della guerra e anche il petrolio è sceso molto.

La domanda negli Stati Uniti si è raffreddata, e i colli di bottiglia nella produzione si sono gradualmente attenuati.

 A livello globale, l’inflazione sembra aver raggiunto l’apice della sua corsa e avere iniziato a declinare.

Negli Stati Uniti l’ultima conferenza stampa del presidente Jerome Powell ha visto la ricomparsa della parola disinflazione, dopo molti mesi.

Cosa sta succedendo nell’area euro? Gli ultimi valori di inflazione, anche al netto dei prezzi di alimentari ed energetici, sono ancora troppo alti. Gli shock inflazionistici potrebbero richiedere vari mesi per dissiparsi, e non prima di essersi propagati attraverso i settori e i prezzi.  

Eppure, anche in Europa, la corsa dei pezzi sembra aver rallentato e l’inflazione aver iniziato la discesa. Una combinazione favorevole di fattori potrebbe riportare rapidamente l’inflazione a livelli molto bassi.

Le aspettative di inflazione sono ancorate e in linea con la dissipazione di un grande shock energetico. Non c’è stata alcuna spirale prezzi-salari; anzi, i redditi hanno subito una profonda contrazione che richiederebbe il sostegno economico dei governi ai ceti meno abbienti.  

D’altro canto, la combinazione dei prezzi dell'energia e della stretta monetaria ha fatto sì che la ripresa si spegnesse. Si è evitata fin qui una temuta recessione, però la crescita si è appiattita (+0.1 di crescita nel trimestre, secondo Eurostat) e i consumi sono crollati.

Segnali più preoccupanti vengono dal credito: i dati mostrano la più grande contrazione nei prestiti dalla crisi del debito di dieci anni fa.

Il problema non è la comunicazione ma la sostanza.  Alla luce dei dati, i mercati ritengono che i tassi siano vicini al picco. Lagarde non ha  comunicato male la politica monetaria. È la politica stessa a non convincere i mercati.

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