Più che par condicio, disparità di condizioni. È questo, in sintesi, il risultato del voto in Commissione di vigilanza sulla Rai sugli emendamenti al regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) in vista delle prossime elezioni europee.

Il regolamento, in attuazione della legge sulla par condicio, è finalizzato a garantire «la parità di trattamento e l’imparzialità» nell’accesso ai mezzi di informazione da parte delle forze politiche (l. n. 28/2000). Ma gli emendamenti approvati introducono ampie eccezioni a questo principio cardine, e tutte a favore del governo.

La legge sulla par condicio

La legge sulla par condicio disciplina la “comunicazione politica”, cioè programmi sul modello delle tribune elettorali e politiche, e i “messaggi politici autogestiti”, che sono una forma di pubblicità elettorale regolamentata; mentre per i “programmi di informazione” si limita a disporre che vada garantita «la parità di trattamento, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità».

All’Agcom e alla Commissione Rai – la prima per le emittenti private, la seconda per quella pubblica – la legge affida il compito di stabilire, previa consultazione tra loro, con rispettivi regolamenti per ogni campagna elettorale, i criteri specifici per garantire la par condicio. Ma quest’anno la conformità tra i due regolamenti pare impresa ardua.

Il regolamento Agcom

Il regolamento dell’Agcom per le elezioni europee di giugno ha previsto che la parità di condizioni nei “programmi di informazione” sia valutata in base non solo a un criterio di tipo quantitativo, il “minutaggio” ed elementi connessi, ma anche a criteri di carattere qualitativo.

In particolare, i tempi concessi a ciascuna forza politica, proporzionali alla sua consistenza parlamentare, andranno valutati anche considerando l’indice di ascolto della fascia oraria in cui l’intervento è trasmesso, in base ai dati dell’Auditel: ad esempio, la prima serata “pesa” più della fascia notturna.

Il 28 luglio scorso, con una segnalazione al governo, l’Autorità aveva chiesto che fosse una legge a stabilire «parametri qualitativi», relativi «alle fasce orarie e ai relativi ascolti dei programmi» e «oggettivamente riscontrabili». Ma il governo è rimasto inerte, e così l’Agcom ha provveduto con il proprio regolamento.

Gli emendamenti in Commissione di Vigilanza

Tra gli emendamenti al regolamento Agcom, approvati in Commissione di Vigilanza Rai, che garantiscono più una disparità di condizioni a vantaggio del governo che una par condicio, c’è quello che impone «la necessità di garantire», nei programmi di approfondimento giornalistico, «una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative».

Si potrà, quindi, parlare con particolare ampiezza delle attività svolte dall’esecutivo, con conseguente maggiore visibilità dei suoi componenti, a scapito degli spazi che residuano per gli altri politici, nonché in deroga alla parità di condizioni che vale per questi ultimi. Se si considera che esponenti del governo sono candidati alle elezioni europee, si comprendono i motivi dell’emendamento e i risultati attesi.

E non è tutto. Dall’applicazione delle regole sulla par condicio sono esclusi pure gli interventi dei politici su «materie inerenti all’esclusivo esercizio delle funzioni istituzionali svolte». La formulazione originaria è stata sfumata con un richiamo «alla esigenza di assicurare la completezza e l'imparzialità dell'informazione». Ma lo squilibrio resta palese: gli esponenti dell’esecutivo avranno una zona franca, potendo godere di vasti spazi sui media anche per magnificare la propria azione istituzionale.

Quando la giurisprudenza amministrativa in materia di par condicio rilevava la necessità di integrare il criterio quantitativo del “minutaggio” con criteri qualitativi non sembra proprio si riferisse a questo.

I giornalisti non sono politici

In Commissione di Vigilanza non è passata, invece, la proposta presentata da Maria Elena Boschi di applicare le regole sulla par condicio pure ai giornalisti. Tale proposta, di difficile applicazione, si scontrava con la libertà di stampa, che non può subire limiti, salvo quelli previsti dalla Costituzione.

Detto ciò, sarebbe ipocrita negare che alcuni giornalisti, ospiti di talk show, sembrino esponenti dell’una o dell’altra parte politica, più che “cani da guardia” della politica stessa.

C’è pure da dire che essi affollano le Tv anche per l’usanza, tutta italiana, delle interviste di giornalisti-conduttori ad altri giornalisti; e che questi ultimi sono talora chiamati a esprimersi pure su temi specialistici, interpretando un ruolo che esperti super partes svolgerebbero forse con maggiore competenza.

Un riequilibrio, così che ciascuno faccia il proprio mestiere, gioverebbe non solo a un’informazione più “tecnica”, ma forse anche alla par condicio preelettorale.

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