Se tutto andrà per il verso giusto, il 24 luglio mia figlia parteciperà al concerto di Harry Styles a Bologna. Le ho chiesto di indossare la mascherina ffp2, ma dubito che mi ascolterà, trovandosi a cantare e ballare al caldo insieme a migliaia di suoi coetanei. Aspetta questo concerto da due anni: era il suo regalo di Natale 2019, prima che la pandemia facesse annullare la data, poi rimandata fino a oggi.

Ci andrà, quindi, dopo aver soppesato rischi e benefici, consapevole di andare incontro alla concreta possibilità di passare a letto una settimana o di arrivare ancora poco in forma alla grigliata di Ferragosto; forse di affrontare più debole, invece che rigenerata, la ripresa di settembre.

Potrebbe anche sviluppare una forma grave, anche se è sana, ha ricevuto tre dosi di vaccino e si è fatta un Covid quasi asintomatico qualche mese fa, ma sa anche che a 18 anni questo rischio, anche se c’è, è bassissimo.

Quel che è certo è che per almeno una settimana dopo il concerto non vedrà né me né il nonno ottantenne, sebbene entrambi siamo vaccinati e guariti.

Così come è altrettanto certo che io, cinquantottenne con un importante fattore di rischio, rinuncerò invece al Jova Beach Party, anche se in questo momento avrei, come tutti, un gran bisogno dell’iniezione di ottimismo ed energia che solo Lorenzo Cherubini sa dare, al di là dell’impatto ambientale dell’iniziativa.

La circolazione del virus oggi è cento volte quella di un anno fa di questi tempi. Fa poca differenza perciò scatenarsi in discoteca o a un concerto con 1.000 o 10.000 persone intorno. Il rischio è dato da quelle poche decine che ci stanno intorno, al concerto dei Måneskin come al matrimonio della cugina.

Siamo entrati in una fase della pandemia in cui è difficile appellarsi ancora a blocchi e divieti. Ognuno deve fare le proprie scelte, e assumersi le proprie responsabilità.

Accettare una situazione di potenziale contagio, come un concerto o una festa, significa mettere in conto nella migliore delle ipotesi la possibilità di perdere giorni di lavoro o di vacanza, non solo per la legge che giustamente chiede ancora ai positivi di isolarsi, ma perché, per quanto se ne dica, l’infezione può provocare anche nei giovani un malessere di cui poi molti, ingannati da una certa narrazione ottimista e minimizzante, restano sorpresi.

Non va poi dimenticata la responsabilità nei confronti degli altri: fragili o non. Ognuno è libero di scegliere di affrontare i propri rischi, ma non di imporli agli altri. Dopo ciascuno di questi eventi, quindi, credo che ciascuno, indipendentemente dall’età, debba ritenersi potenzialmente contagioso, e avere quindi maggior cura di chi gli sta intorno, a casa, sul lavoro, sui mezzi, almeno indossando la mascherina.

Ognuno decide per sé, ma non per gli altri. 

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