Alcuni giorni fa, per descrivere il modo di vivere del sud Italia, ho fatto una metafora citando il gol di Maradona contro l’Inghilterra, la famosa mano de Dios. Tante sono state le reazioni. Avendo come oggetto Maradona, molte arrivavano da Napoli, anche se in realtà il discorso lo avevo esteso a tutto il meridione.

La maggior parte delle persone, che non condivideva il mio ragionamento, ha lasciato sui miei social un commento abbastanza moderato. Certo qualcuno è stato più passionale, tipo il tizio che mi ha scritto semplicemente: «Ti schifo».

Non è per niente piacevole ricevere una frase simile, ma rimane tollerabile, anzi l’ho trovato anche un po’ geniale, da riutilizzare: «Che ne pensi di quel tizio?». «Lo schifo!». Fine. Non c’è bisogno di aggiungere altro.

Poi ci sono stati anche quelli che ci sono andati giù pesanti con le offese e a quelle non ci si abitua mai veramente. Incominci a pensare: «Ma chi me lo fa fare di espormi così tanto?».

Questo, in realtà, mi succede ogni volta che dico o scrivo qualcosa che so susciterà delle polemiche e che, visti i temi, sfoceranno in insulti pesanti. E il mio ego, come tutti quelli che fanno il mio stesso lavoro, ha bisogno solo ed esclusivamente di complimenti. Nonostante questo, sento un’irrefrenabile voglia di dire la mia, una sorta di suicidio perpetuo, spesso complicandomi la vita professionale.

Umarell da Twitter 

Ma c’è stata anche un’altra conseguenza, del tutto inaspettata, in questa vicenda: ho scoperto di essere un anziano. Sono l’“umarell” di Twitter e dei social in generale.

Mi spiego: tra i vari insulti, c’è stato quello ripetuto di una ragazza che ha incominciato a mandarmi delle foto di Maradona con dei capi di stato sudamericani. Credo per ricordarmi l’impegno politico di Maradona, cosa che secondo lei io ignoravo. Osservazione che comunque non aveva nessun nesso stretto con il mio ragionamento. Sopra ogni foto, inoltre, compariva un “suca” numerato.

La prima: “Suca 1: Maradona con Fidel Castro”. “Suca 2: Maradona con Lula”.  “Suca 3: Maradona con Maduro”. “Suca 4: Maradona con Morales”. E l’ultima: “Suca 5: Maradona con Ortega Saavedra”.

Ora: essendo di Palermo sono molto sensibile alla parola “suca”. Se c’è un vetro appannato o un auto ricoperta di neve, è quasi impossibile che un siciliano non scriva “suca!”. E più forte di noi. C’è una vocina dentro che ci dice: “Scrivilo, che cosa aspetti! Scrivilo!” E noi lo scriviamo.

Il quinto “suca” della ragazza è stato per me come il trentottesimo “coglionazzo” che riceve Fantozzi da parte del cavaliere conte Catellani, durante la partita di biliardo. Ho scritto, quindi, “suca 6” con allegato la foto di Maradona con i due boss della camorra Giuliano. Seguendo il suo schema, era un modo per dire che non sempre Maradona ha incontrato gente frequentabile.

Cerco di abbassare i toni

La mattina seguente continuo a ricevere commenti offensivi e poco chiari sempre dalla stessa utente. Qui incomincio a fare una serie di mosse che nella vita reale potrebbero essere considerate di buon senso, ma nel mondo dei social sono degli sgarbi e debolezze punibili con la pena di morte.

Innanzi tutto cerco di abbassare i toni. E siccome quando discuti con una persona che non conosci e che non vedi, ogni messaggio può essere mal interpretato, cancello il mio “suca 6”. Atto di lesa maestà per il popolo dei social (non lo fate mai, è gravissimo), nonostante, subito dopo, le abbia spiegato il perché della mia cancellazione con questo messaggio: «Scusa, voleva essere una risposta ironica a una tua provocazione ironica (che forse ironica non era, l’ho capito dopo). Non ce l’ho con te, né con Maradona, ma con noi meridionali che non ci prendiamo nessuna responsabilità riguardo la nostra situazione».

Poi ho aggiunto: «Detto questo, non sono Umberto Eco, la mia opinione non sposta le masse. Non ti arrabbiare troppo per quello che scrivo. Buona giornata». Nonostante le mie parole di pace e letizia, l’utente ha continuato con commenti aggressivi.

Chiudo Twitter e mi metto a lavorare. Verso sera, in fila in farmacia, situazione di noi “umarell” molto familiare, decido di ingannare il tempo riaprendo Twitter. In quell’esatto momento credo di aver perso vent’anni della mia vita. Infatti, l’utente “Ugo e sticazzi” (solo Ugo è un nome di fantasia) cita l’inizio della mia riflessione fonte di scontro, fatta su questo giornale qualche giorno fa, dove sostengo che un personaggio pubblico ha più responsabilità di uno non famoso e aggiunge: «Ecco la sua responsabilità e coerenza nel rispondere ad una donna. Vergogna!» e allega il mio “suca 6”. Omettendo però tutti gli altri “suca”.

All’inizio, la prima cosa che ho pensato è come potesse essere considerato un insulto “suca 6”. Chi offendo dicendo “suca 6”? Invece di dire “Suca, suca, suca, suca, suca, suca” sei volte, ho abbreviato con “Suca 6”? Forse aveva scambiato il 6 per verbo, quindi: “Suca sei (tu)”? Ma non sarebbe suonato comunque strano?

Nel frattempo, però, qualcuno iniziava a retwittare il post di “Ugo e sticazzi”. Confesso di aver avuto seriamente paura. Nel tentativo di abbassare i toni, venivo scambiato per uno violento con le donne. Appena ho rivisto i retweet, mi sono immaginato in ginocchio al centro di una folla e tutti con in mano una pietra che mi urlavano: «Vergogna! Non si dice “suca 6 tu” a una donna!» e giù con le pietre!

Sono uscito dalla farmacia, pensando che dovevo spiegare il mio “spregevole” gesto di chiarezza a tutti, il prima possibile. Ma più mi avvicinavo a casa e più la sensazione di essere un “umarell” digitale cresceva.

86 anni percepiti

Avevo 48 anni all’anagrafe, ma 86 percepiti. A metà strada ho addirittura rallentato, perché c’era un cantiere e ho sentito il dovere di dire la mia su come stessero lavorando gli operai. Subito dopo, invece, ho rallentato per paura di rompermi il femore.

Giunto finalmente a casa, ho fatto un filmato e ho spiegato come fossero realmente andate le cose, risparmiandovi tutte le infinite accortezze tecniche per pubblicare un video sui vari social. Alla fine ho passato tre giorni interi a capire se il mio video avesse superato la diffusione del post del signor “Ugo e sticazzi”.

Ho guardato ossessivamente quanti follower mi lasciavano e mi son chiesto ossessivamente il perché mi stessero lasciando. A ricevere gli insulti più feroci non ci si abitua mai, ma ormai te li aspetti. Mentre la lapidazione online per una cosa che non ho commesso non mi è mai capitata.

La realtà è che non riesco più a controllare il mezzo. È come se, mentre sto guidando, scoprissi che hanno invertito i pedali del freno e dell’acceleratore. Bisogna imparare velocemente oppure smetterla di usare i social network, perché la cosa diventa seria. Sono stati giorni difficili. I cantieri sono decisamente più rilassanti.

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