Le politiche pubbliche dovrebbero essere basate il più possibile su analisi e dati, assai meno su sensazione ed evidenze aneddotiche. Tuttavia, a mesi dall’inizio della pandemia poco è stato fatto per comprendere la dinamica dei contagi e l’efficiacia di restrizioni e divieti. La valutazione delle politiche pubbliche richiede tempo, ma la situazione attuale impone risposte rapide.  

Ristoranti, palestre, o scuole andrebbero chiusi sulla base di dati che indichino in modo sistematico che i contagi sono più frequenti in quei contesti che altrove, non sull’onda dell’emozione dei bollettini quotidiani o di singoli casi di cronaca. Allo stesso modo, nuove misure di sostegno alle imprese e ai lavoratori dovrebbero basarsi sullo studio dell’efficacia degli interventi messi in atto in primavera.

Per condurre queste analisi è indispensabile disporre di micro dati, resi anonimi e disaggregati a livello di singolo individuo o di impresa. Tuttavia, a parte rare eccezioni, questi dati non sono disponibili. Per colmare questa lacuna, il governo dovrebbe coordinare la creazione una base dati da rendere disponibile alla comunità scientifica.

Le amministrazioni pubbliche dovrebbero raccogliere e distribuire micro dati di loro competenza, come quelli sull’erogazione di bonus e altre misure di sostegno alle imprese. La disponibilità dei dati sulle garanzie concesse alle imprese per l’accesso al credito, per esempio, ha permesso agli economisti Fabrizio Core e Filippo De Marco di studiare quali imprese hanno usufruito delle garanzie e quali settori e aree del paese hanno beneficiato maggiormente dell’intervento pubblico.

Un altro ambito in cui i micro dati sono indispensabili è quello dei ricoveri, contagi e tamponi. Su Internazionale, Fabio Sabatini ha ricordato che l’istituto inglese di statistica raccoglie dati campionari per tracciare l’andamento dell’epidemia, sulla falsariga di quanto proposto già a marzo da Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, entrambi ex-presidenti Istat.

Anche in ambito scolastico la carenza di micro dati è drammatica. Il ministero pubblica dati aggregati e basati su segnalazioni volontarie, mentre la disponibilità di dati tempestivi e dettagliati sull’andamento dei contagi permetterebbe di capire quando le scuole sono un fattore di rischio. Salvatore Lattanzio, autore di un’interessante analisi sull’andamento dei contagi dopo l’apertura delle scuole, ha ribadito la necessità di disporre di dati più granulari per valutare gli effetti dell’apertura scolastica sull’evoluzione del’epidemia. Inoltre, se durante il primo lockdown e il periodo estivo si fosse sperimentata l’apertura delle scuole in aree del paese a basso contagio, sarebbe stato possibile raccogliere informazioni che ora si rivelerebbero utili.

Si dovrebbe anche coinvolgere il settore privato. Dall’inizio della epidemia gli economisti hanno iniziato ad avvalersi di dati commerciali per monitorare in tempo quasi reale l’evoluzione della crisi. Dati geolocalizzati che permettono di tracciare i flussi individuali di movimento (attraverso i cellulari) e di consumo (attraverso i pagamenti con carte) sono resi disponibili da alcune aziende. Ma una partnership con gli operatori di telefonia mobile, ad esempio, potrebbe consentire di accedere a informazioni utili a studiare come diverse aree e fasce della popolazione sono influenzate dal virus e dal lockdown. 

Negli Stati Uniti, un team guidato da Raj Chetty all’Università di Harvard ha creato un sito web in cui sono raccolti e resi disponibili moltissimi dati dettagliati sul mercato del lavoro e sui consumi. Questo modello potrebbe essere replicato da una agenzia pubblica.

Da mesi scienziati e ricercatori si sono pronunicati a sostegno della necessità di raccogliere e diffondere micro dati. Trovarsi in una situazione di crisi non è una giustificazione, come non ci si può nascondere dietro a questioni legate alla privacy dei micro dati, che possono essere risolte. Una maggiore trasparenza responsabilizza le istituzioni e permette di migliorare gli interventi di politica pubblica sulla base dell’evidenza.

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