Tra i tanti problemi che ha il nuovo Pd di Elly Schlein, quello della classe dirigente meridionale è certamente tra i principali.

Esso nasce in tempi non recenti ed è legato al progressivo abbandono di temi, scelte, obiettivi, lotte; il risultato è stata la formazione di quadri politici e di una rappresentanza locale lontana dai bisogni popolari e legata al potere del partito nazionale che ha legittimato acriticamente quello locale.

Gruppi dirigenti incapaci di leggere i mutamenti della società per favorirli e guidarli quando erano positivi o contrastarli quando erano negativi, perché è evidente a tutti che i mutamenti non sono neutri e non sempre sono positivi.

Sono mancate le lotte politiche, i movimenti, le battaglie politico-culturali, e di conseguenza ai nuovi dirigenti è mancata la scuola della realtà, il contatto con gli strati sociali popolari, l’aspra e conflittuale lotta politica sui grandi temi, il confronto costante nei circoli spesso chiusi o aperti solo per una conta delle tessere ai congressi.

Una recente ricerca di Eugenio Marino sul Pd pubblicata da Repubblica fotografava la realtà: tra i dirigenti meridionali gli operai erano solo tre e chi faceva un lavoro manuale era quasi assente.

Gli articoli di Nello Trocchia e di Giovanni Tizian su questo giornale descrivono un quadro impressionante in Campania che, nella sua unicità, mostra un volto inquietante.

Gli anticorpi nel Pd 

È bene chiarire che vi sono dentro il Pd forze ed energie nuove e fresche che riescono a fare battaglie memorabili e anche ad amministrare bene le loro comunità.

Ma sono una minoranza che proprio con l’elezione della nuova segretaria potranno ora acquistare peso e diventare maggioranza trasformando in profondità il partito che in alcune aree è decisamente screditato. Recuperare credibilità è difficile perché è venuta meno la fiducia.

Le astensioni, che non sono solo un fatto meridionale, e le migrazioni elettorali verso altri partiti ne sono un segno evidente.

Il Mezzogiorno, accanto a grandi potenzialità e risorse, a zone di assoluta eccellenza, a pratiche di accoglienza degli stranieri straordinarie e commoventi, ha problemi giganteschi: lavoro, sanità, scuola, ambiente, gestione del territorio, agricoltura, industria, desertificazione dei piccoli centri montani.

Il Pd conosce questi problemi, ma li ha declamati, li ha elencati senza riuscire a promuovere lotte significative.

Anche quando come il recente viaggio a Cutro del Consiglio dei ministri aveva offerto un assist formidabile, il Pd calabrese è rimasto afono; il Pd di Crotone, i dirigenti e i consiglieri regionali sono rimasti assenti da una manifestazione che pure c’è stata, quella del lancio dei pelouche, e non sono stati capaci di organizzare una protesta per il modo come s’era svolta quella visita quando la presidente Meloni non è andata a Crotone dove c’erano le bare dei morti in mare. Protesta che s’è fatta in parlamento non a Cutro.

Solo due giorni dopo, con la grande marcia a Cutro, si è recuperata una presenza. Anche sul ponte sullo stretto il Pd locale è afono e si lascia a Salvini e ad Occhiuto l’iniziativa senza agire con fermezza di fronte a uno scempio di propaganda falsa.

È in questo quadro di problemi irrisolti che sono cresciute a dismisura mafie, clientelismo e corruzione. Il Pd, in molte realtà, non è riuscito a rappresentare l’alternativa a tutto ciò, anzi ne è stato risucchiato e non è stato capace di offrire un orizzonte di trasformazione sociale e di superamento di antiche e nuove arretratezze, di forme moderne di disuguaglianza e di povertà.

L’alternativa possibile 

Il Pd s’è adagiato sulla realtà senza l’ambizione di cambiarla come deve fare un partito di sinistra. E invece è possibile cambiarla anche in situazioni molto difficili. Anni fa a Lamezia Terme si candidò a sindaco Gianni Speranza, una vita nel Pci e nella sinistra calabrese. Iniziò la sua campagna elettorale dicendo che non voleva i voti della ‘ndrangheta.

Qualcuno gli consigliò prudenza, qualche altro disse che non avrebbe vinto se continuava su quella strada. Vinse, e rivinse anche cinque anni dopo. Fu un sindaco di minoranza perché i partiti che lo avevano sostenuto non avevano avuto la stessa sua nettezza.

Non sta scritto da nessuna parte che se lotti contro le mafie, l’illegalità, la corruzione, le clientele non puoi vincere.

E non è il solo esempio. Si guardi all’esperienza di Casal di Principe e al suo sindaco Renato Natale. E a tante altre in giro per il Sud, in Puglia, in Sicilia e altrove.

La lotta alle mafie non può essere delegata alla magistratura. Deve far parte dell’iniziativa di un partito politico perché combattere i mafiosi significa organizzare una lotta di popolo, contrastare i poteri criminali, difendere l’economia dall’aggressione mafiosa, combattere la tolleranza verso di loro, spiegare ai giovani quanto sia sbagliato la fascinazione dei criminali, assumersi la responsabilità di impedire che si candidino nelle liste amici, prestanome o parenti stretti dei mafiosi, organizzare la contestazione contro leggi sbagliate come quella degli appalti appena approvata.

Questo e tante altre cose ancora può fare un partito, assieme ad altri naturalmente, partiti e associazioni d’ogni tipo, perché la lotta alle mafie è solo in parte lotta giudiziaria.

In passato nel Mezzogiorno sono cresciuti fior di uomini e donne che sono diventati sindaci, dirigenti politici e parlamentari.

Perché non si può replicare questo modello che è modernissimo e che serve a formare quadri riconosciuti dalla popolazione?

Elly Schlein ha vinto il congresso perché tra le tante altre cose si è impegnata a contrastare cacicchi e capibastone.

Una parte di costoro stanno nel Mezzogiorno e se farà fino in fondo questa battaglia, come ha mostrato di voler fare in modo così potente e inaspettato commissariando il partito campano, il Pd avrà la forza per spalancare le porte del futuro.

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