Per nove mesi ho vissuto nel Montana prima di essere rimpatriata a causa della pandemia. Questo stato dell'America del nord ovest è stato fondato negli stessi anni dell'Italia. Ha una storia corta, complessa e molto violenta. Ancora oggi conta sette riserve indiane e le relazioni tra i discendenti dei colonizzatori bianchi e quelli degli autoctoni rimangono difficili.

La Pontida americana

Su invito della Montana State University mi sono recata lì nel 2019 perché volevo documentare il trumpismo dal basso, esattamente come avevo fatto in Italia negli anni Duemila analizzando il leghismo nella bergamasca. Negli anni Novanta, il Montana fu il fulcro delle milizie patriottiche che portarono all’attentato di Oklahoma city del 1995. In seguito, esse sono state smantellate dal potere federale, ma quella subcultura eversiva non è mai sparita completamente. Gli abitanti del Montana ci coabitano e devono mantenere il dialogo e la concordia. Tutte le mattine, svegliandomi sul campus di Bozeman, vedevo dalla finestra della mia stanza la bandiera che il mio vicino aveva appesa sulla sua facciata. Era la Gadsden flag, la bandiera gialla con il serpente a sonagli che le frange più radicali del partito repubblicano hanno rispolverato da quando Barack Obama era stato eletto. Conoscevo bene la storia di quella bandiera che rimandava al giuramento di Lexington: un vero e proprio giuramento di Pontida in veste americana, il primo gesto di sedizione degli americani contro il potere coloniale inglese. Ne avevo studiato la storia e gli usi politici. Le similitudini simboliche con il rituale bossiano sono tante. Le corrispondenze tra Stati Uniti e Italia vanno ben oltre il folklore.

Non ci fu un vero e proprio giuramento, nel 1775 a Lexington, ma i primi colpi furono scambiati tra la milizia di John Parker e le truppe regolari della corona. Per contro, i ribelli della Virginia si trovarono sotto una quercia nella città di Culpeper per giurare di rimanere uniti e adottarono la famosa bandiera con il serpente autoctono. Ho visitato questa città per capire meglio il senso del simbolo americano e scoprire che nel 1860 i Confederati della città si radunarono sotto lo stesso albero per rinnovare il rituale, ma questa volta contro gli Yankee del nord. Fu l'inizio della guerra di secessione, il secondo conflitto più mortale del diciannovesimo secolo.

Poco dopo l'elezione di Barack Obama, il 19 aprile 2009, anniversario dell'indipendenza americana, gli Oath Keepers di Stewart Rhodes, un libertario vicino a Ron Paul, hanno organizzato un raduno sul campo di Lexington, vicino a Boston. In quel luogo, hanno giurato di difendere la costituzione americana disobbedendo agli ordini, in particolare a quelli che miravano a disarmare la popolazione. Questo giuramento non legava soltanto i "patrioti" contro la corruzione, ma contro la possibilità di una cospirazione governativa e di un'evoluzione dittatoriale.

La subcultura dei “patrioti”

Questa milizia fa parte della variegata e nebulosa fascia estremista di destra che ha composto parte del movimento "patriottico" che il 6 gennaio scorso ha preso d'assalto Capitol Hill. Questo movimento opera un rovesciamento totale della prospettiva politica: denunciano le istituzioni attuali per poter rifondare la Repubblica dei padri fondatori, cioè per soli bianchi. È a questi "patrioti" che Donald Trump si rivolge quando mette in discussione la legittimità dell'elezione di Joe Biden. Questi uomini sono mossi da un consolidato miscuglio di credenze evangeliche di stampo millenarista, di teorie complottiste e di suprematismo bianco. La loro corrente ideologica ha delle radici profonde in America e non sparirà con Donald Trump, che ne è soltanto uno degli interpreti più abili. Quando egli denuncia una frode avalla il credo delle frange più radicali che da anni credono che un doppio stato governi il loro paese rubandogli la democrazia.

Questo rovesciamento è pauroso perché alimenta la rabbia e porta all'azione violenta come si è già verificato in passato. Si può comprendere l'assalto al Campidoglio soltanto considerando questa subcultura. Oggi la destra trumpista usa la sinistra come una cassa di risonanza, rigirando sistematicamente i suoi argomenti. Questo spiraglio infernale di rovesciamenti polarizza gli elettori e fa perdere ai trumpisti il senso della realtà. Essi credono nell'enorme menzogna, di cui Donald Trump fa propaganda, eleggendosi a vero vincitore delle elezioni. Hannah Arendt ha spiegato come l'uso ripetuto della menzogna in politica conduce inevitabilmente alla violenza.

Black lives matter e le restrizioni anti Covid-19 hanno suscitato una escalation nella destra anti-governativa.

La “riserva per bianchi”

Durante il mio soggiorno americano ho indagato nella Flathead Valley a nord ovest del Montana dove lo stato confina con l'Idaho e il Canada. Fu in quella zona nevosa, non ancora integrata nell'Unione, che trovarono rifugio una parte dei confederati sconfitti da Abraham Lincoln. I neo-nazisti americani concepiscono questa zona come una "riserva per bianchi". La cultura politica della valle ne risente ancora oggi e concentra un numero importante di figure dell'estrema destra statunitense. Le autorità locali li stanno osservando con attenzione, cercando di mantenere la calma, in una valle dove gli abitanti sono tutti armati fino ai denti.

Per colpa di Donald Trump questi estremisti, concentrati in zone periferiche e attivi solo online, sono calati di recente nel mondo reale generando paura. Nel 2018 i rappresentanti della comunità ebraica di Withefish sono stati ripetutamente minacciati, ma sostenuti dagli abitanti che hanno creato l'associazione "Love Lives Here". Ho parlato con la presidente per capire come abbiano percepito gli ultimi sviluppi. Cherilyn DeVries mi ha detto con emozione nella voce: «Le cose sono surreali in questo momento. La maggior parte della gente si comporta come se niente fosse, altri sono convinti che le elezioni siano state rubate a Trump, e il resto di noi è totalmente incredulo sul fatto che una cosa del genere possa essere accaduta negli Stati Uniti». Questo senso di irrealtà è sintomatico, l'abbiamo già sperimentato dopo l'11 settembre 2001.

Stiamo entrando in un'altra fase storica, non è la fine di Trump, è invece l'inizio di un nuovo confronto. Cherilyn continua: «Pensa, il diniego è talmente forte che certi repubblicani credono che il Campidoglio è stato invaso dagli Antifas o da Antifas vestiti da trumpisti!». Lo stupore davanti al golpe mancato è grande, ma la buffoneria degli atteggiamenti non può più mascherare la gravità dello sfregio ai valori democratici. Siamo tutti messi di fronte al significato profondo dell'ondata populista. Le corrispondenze tra Italia e Stati Uniti sono tante perché in fondo si tratta di nordismo e di "razza bianca da salvare". Due concezioni della nazione sono ormai contrapposte, quella fondata sul mito della razza e quella creata dal patto sociale tra liberi cittadini qualunque siano le loro origini e appartenenze. Questo confronto attraversa tutto il mondo occidentale, da quando il suo dominio vacilla.

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