Nel 1973, l'anno in cui nacque la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli (Pd), Woody Allen diresse e interpretò Il dormiglione. Il protagonista, Miles Monroe, viene svegliato nel 2173 dopo essere stato ibernato 200 anni prima e si ritrova negli Stati Uniti assoggettati al regime violento di un dittatore (pensate un po').

Il povero Miles fatica a capire che cosa è successo nei due secoli che si è perso, però si applica. Anche De Micheli alle volte sembra che sia stata ibernata nel 1973, però non studia.

Esemplare la vicenda dello stretto di Messina. Ai primi di settembre ha incaricato una commissione di esperti di valutare se è meglio fare un ponte, un tunnel sotto il fondo del mare o una roba che sta sott'acqua. Esattamente la stessa valutazione fatta già 40 anni fa da analoga commissione di esperti. Giunsero alla disarmante conclusione che, delle tre ipotesi, il ponte a campata unica di 3.300 metri era la meno demenziale, ma non per questo sicuramente fattibile, come i decenni seguenti si sono incaricati di dimostrare. Dopo 40 anni l'ignara ministra ha deciso di valutare, come se non ci fosse un ieri.

Ma è sull'Alitalia che la svagatezza di De Micheli decolla. Sembra essersi appena svegliata da un lungo sonno e ripetere meccanicamente filastrocche imparate prima dell'ibernazione.

Il 9 ottobre ha arringato la platea di Facebook: «Nasce oggi la nuova compagnia aerea di bandiera, in netta discontinuità con il passato e che dovrà giocare un ruolo da protagonista sul mercato europeo internazionale. Si tratta di una grande operazione industriale al servizio del Paese, a sostegno della competitività  delle nostre imprese e per il rilancio del turismo italiano».

La parola che commuove di più è «discontinuità». La dicono quelli che arrivano al capezzale di un'azienda per rimarcare che quelli di prima hanno fatto schifo.  Oppure la invocano disperati i commissari europei Paolo Gentiloni e Margrethe Vestager come condizione per consentire al governo Conte di buttare altri 3 miliardi sull'Alitalia. L'ha detta anche Francesco Caio, presidente designato della nuova Alitalia-Ita finanziata dai contribuenti, polemico con la precedente gestione in cui proprio lui, non un altro, investì 75 milioni delle Poste che guidava. Doveva obbedire a Matteo Renzi, il premier che lo aveva appena nominato.

Per giustificare lo scempio, descriveva in grammelot manageriale mirabili sinergie tra Alitalia e Poste nella logistica. Invece niente, l'Alitalia targata Renzi-Montezemolo-Etihad è fallita in 3 anni fumandosi anche quei 75 milioni.

Prima di De Micheli e Caio hanno promesso o preteso discontinuità il ministro dell'Agricoltura Gianni Alemanno nel 2004, il presidente della Confindustria (e futuro presidente dell'Alitalia, la discontinuità era lui) Luca Cordero di Montezemolo nel 2006, il ministro dei Rapporti con il Parlamento Giulio Santagata nel 2007 (governo Prodi), l'europarlamentare Antonio Tajani nel 2008, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi nel 2014.

A colpi di discontinuità l'Alitalia è fallita tre volte in dieci anni, sempre a spese dello Stato. E' naturale che, dopo anni di discontinuità, ci voglia un po' di discontinuità. E De Micheli ce la promette, senza ridere.

La seconda parola magica è turismo. Nel 2008 Corrado Passera era amministratore delegato di Intesa Sanpaolo e formulò per il premier Silvio Berlusconi il piano Fenice con cui Alitalia fu regalata ai cosiddetti patrioti guidati da Roberto Colaninno. Dichiarò che un'Alitalia rilanciata avrebbe avuto il 65 per cento del mercato italiano dei voli e questo avrebbe consentito, come voleva Berlusconi, di trascinare in Italia su aerei piombati fantastiliardi di turisti cinesi quantunque recalcitranti.

Lasciamo da parte il fatto che, prima del Covid, gli abitanti delle grandi città turistiche (Roma, Firenze, Venezia) non avrebbero saputo dove mettere altri turisti. Comunque la prova turismo l'abbiamo fatta per 12 anni. Grazie alle penetranti strategie di Passera, di Colaninno, e poi di Renzi e Montezemolo, e poi dei commissari che da tre anni si baloccano con improbabili piani di rilancio, la quota di mercato di Alitalia è arrivata non al 65 ma al 15 per cento.

Da almeno 20 anni l'Alitalia spinge solo il turismo dei piloti e dei manager. L'abbiamo capito tutti meno la ministra. Perché De Micheli non c'era. Dormiva. 

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