Se la difesa è che “tanto lo fanno anche altri”, che “la tv privata è più colpevole”, che “la donna è trattata da oggetto” da molto tempo nella nostra società e che la musica trap non può “plasmare” i ragazzi, allora ha ragione Cristiana Capotondi, eccome. Ha ragione da vendere perché tale difesa è ambigua e vittimista: “La colpa non è mia, casomai è degli altri”.

E chi sono gli altri se non coloro che hanno fatto peggio o che hanno fatto prima? Come a dire: siccome è stato già fatto, replico. Un modo riluttante di scaricarsi la coscienza. Chi ha detto che la colpa è tutta dei trapper? Eppure un po’ di autocritica sarebbe utile: basta ascoltare la violenza di quei testi. Il gusto per le parole violente, per la violenza esposta e cantata, per il violento trattamento delle donne, esiste, si sente e si vede.

Non sarà la causa dei femminicidi ma sicuramente sta dentro il medesimo solco subculturale. Dire che occorre smetterla con tali gusti e con tali atmosfere non è uno scandalo: è buon senso. Allo stesso modo si dovrebbe additare – ancora peggio – la pornografia che mette in immagini una donna sottomessa e violentata. Tutto questo levar di scudi dei trapper è penoso: meglio fare un esame di coscienza visto che si rivolgono ai giovani. Dire che i testi non sono messaggi è falso: nella musica lo sono sempre, come tutti sanno.

Certo, non si tratta delle cose peggiori a cui assistiamo sul tema della violenza, e della violenza alle donne in particolare, ma riguardano i giovani e questo preoccupa. Nella nostra società il problema della violenza giovanile e adolescenziale è enorme e va affrontato a tutto tondo, anche nella musica. Detto questo si deve aggiungere che c’è tanta violenza nel nostro mondo e quelle dei testi trap non è certo la peggiore.

La violenza nel mondo

La violenza peggiore è quella che vediamo nelle guerre. Le immagini dell’assalto di Hamas ai giovani che fuggivano, con esecuzioni a freddo, è atroce. Come quelle dei bombardamenti di Gaza, dei missili sull’Ucraina ecc. Come sappiamo muoiono soprattutto civili innocenti, addirittura bambini. Ci sono tante guerre dimenticate. Ci sono gli eccidi e gli omicidi, i femminicidi, le sparatorie nelle scuole come negli Usa, il terrorismo dei lupi solitari e dei gruppi estremisti, la rivalutazione della forza militare come soluzione e tante altre forme di violenza di cui tutti siamo purtroppo spettatori.

Il tema del femminicidio in Italia tuttavia è uno dei più ravvicinati, ci tocca da vicino e non può essere eluso. Dobbiamo negare spazio alla cultura della violenza in tutte le sue forme anche quando si presenta in maniera surrettizia o mascherata. Per tale motivo le parole di Capotondi sono da prendere sul serio: la violenza come gusto, come stile e come discorso andrebbe eliminata da tutte le espressioni culturali, musica inclusa.

Non sarà abbastanza, non eviterà altre uccisioni, non sarà la panacea di tutti i mali ma almeno l’aria sarà meno inquinata. La violenza si presenta sotto varie forme e aspetti: il suo obiettivo è di farci abituare alla sua presenza e alla sua stessa esistenza. Lo scopo finale è far credere che senza violenza non c’è esistenza, che la violenza è insita nella vita e ne fa parte integrante. Così si finisce per pensare che eliminare la violenza sia impossibile. Non è vero: si può immaginare e costruire una vita – personale e collettiva – senza violenza.

Un’altra società e un diverso modo di vivere sono possibili. Non siamo destinati a vivere in mezzo a così tanta violenza. Dobbiamo educare i giovani a una vita in cui la violenza sia bandita, perché ha perso il suo status sociale con cui l’abbiamo ammessa tra di noi. Non deve più avere cittadinanza. Questo è l’obiettivo fondamentale della società democratica e della democrazia stessa: costruire delle regole di convivenza per abolire la violenza nei comportamenti sociali e nella vita comune. Si tratta di una sfida per tutti, che riguarda tutti, anche i giovani, anche gli adolescenti e anche i trapper. Tutti sono coinvolti e nessuno può dire che la colpa è di altri. Nemmeno i cantanti. Come scriveva Carlo Levi: le parole sono pietre. 

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