Quando porto mia figlia a visitare un posto nuovo, una città dove non siamo mai state, spesso le chiedo se le piacerebbe vivere lì. Lei mi risponde sempre di no. «Qui è bello, ma io voglio vivere dove viviamo noi, adesso. Nella casa di adesso. Non voglio cambiare città, non voglio cambiare casa. Non voglio cambiare niente». E io sono contenta, significa che ha una vita semplice e serena. A differenza di moltissime persone nel corso della storia umana.

In questi giorni abbiamo assistito a una delle più grandi tragedie del Mediterraneo, e l’opinione pubblica ora riflette su chi invece deve abbandonare il proprio luogo di nascita, affrontando viaggi in mare, perché dove si trova non riesce ad avere una vita umanamente sopportabile. Per sé e per i suoi bambini.

È fondamentale, in queste ore, pensare a cosa sono i nostri privilegi, anzi a che cos’è un privilegio. Ed è importante farlo insieme ai nostri figli. Si tratta di uno snodo educativo cruciale.

Il significato

Elly Schlein ha detto al ministro Matteo Piantedosi parole molto chiare: «Le persone che partono fuggono da qualcosa. Fuggono da guerre, da discriminazioni, da torture, da situazioni che lei, ministro, dall’alto dei suoi privilegi, probabilmente non ha mai vissuto neanche da lontano». Ma se è impossibile ormai fare molto per la formazione spirituale di una persona adulta e navigata come Piantedosi, possiamo fare qualcosa perché i nostri figli crescano con una consapevolezza. Non solo: perché questa consapevolezza porti a qualcosa di buono e di concreto.

Oggi la parola privilegio è assai utilizzata, è un ritornello del nostro tempo. La bellezza è un privilegio, l’intelligenza è un privilegio, si dice. Qualsiasi caratteristica in qualche modo definibile come positiva è un privilegio. L’uso frequente della parola, però, non si accompagna sempre una comprensione profonda del senso della stessa. Di conseguenza resta vuota.

Privilegio viene dal latino privilegium, ossia da privus, nel significato originario di “singolo, particolare”, e da lex, “legge”. Quindi propriamente significa “legge che riguarda una persona singola”. Da cui deriva la definizione più interessante, che è quella del diritto pubblico: il privilegio è un atto sovrano o una legge che attribuisce a un soggetto, o a una categoria di soggetti, una posizione più favorevole rispetto a tutti gli altri soggetti.

Valori e responsabilità

Quando diciamo “la bellezza è un privilegio”, dunque, è come se saltassimo un passaggio, ed è un passaggio fondamentale. Non è la bellezza in sé, o qualsiasi altro oggetto o caratteristica, a essere un privilegio.

Siamo noi, come società, a creare una legge (in questo caso una legge sociale, non scritta) che attribuisce a chi è bello una posizione più favorevole nel mondo. Il privilegio, dunque, non piomba dal cielo, senza che noi possiamo fare nulla.

Il privilegio è un atto umano compiuto nella piena consapevolezza e con piena responsabilità. In altre parole: se il privilegio esiste, lo hanno creato le persone.

La bellezza non è in discussione, è un dato di fatto. Ciò che è in discussione sono i vantaggi che derivano dalla bellezza. Alcuni saranno inevitabili, altri saranno del tutto ingiustificati. Immaginiamo, per estremizzare il ragionamento, che alle persone belle sia permesso di pagare meno tasse.

Fare la nostra parte

Il privilegio è un atto umano, dunque, ed è una volontà che scegliamo persino di “scrivere nero su bianco” (realmente o figurativamente), trasformandola in legge. Nascere in Italia, per esempio, significa nascere in un paese democratico. In un paese che non è in guerra.

Il privilegio, in questo caso, si forma nel momento in cui decidiamo di rendere i nostri confini invalicabili, cioè di rendere impossibile ad altre persone, nate in contesti meno fortunati, di accedere al nostro contesto più fortunato.

In quest’ottica, si capisce bene che dire alle persone di non partire per i viaggi in mare, perché tanto noi non possiamo fare niente per loro, è un ragionamento falso e immorale. Un ragionamento che nasconde completamente la responsabilità piena che abbiamo quando decidiamo quali leggi governano i nostri confini, e quando non facciamo nulla perché le cose cambino.

Ogni volta che diciamo ai nostri bambini «finisci di mangiare, pensa a chi non ha niente» diciamo una frase inutile. Più che dire «finisci di mangiare»dovremmo spiegare che evidentemente c’è qualcosa che non va, se al mondo esistono bambini che non hanno cibo, pace, libertà. Non solo. Dovremmo spiegare che non basta essere consapevoli dei propri vantaggi, bisogna fare qualcosa: bisogna fare la nostra parte, perché il privilegio si demolisce con l’azione.

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