Le vicende di questi ultimi giorni dimostrano che gli stati in realtà non decidono le politiche sanitarie contro la pandemia. I piani vaccinali devono essere rivisti perché le case farmaceutiche decidono di ridurre unilateralmente le forniture. La debolezza degli stati di fronte a tutto questo è quasi sconcertante. Ma non incomprensibile, dal momento che le istituzioni pubbliche hanno scelto di muoversi come semplici acquirenti di un prodotto sul mercato, concedendo alle imprese una posizione di straordinaria forza.

A noi sembra che troppo sbrigativamente si accetti questo come un dato non modificabile. Si dimentica che il diritto pubblico, costituzionale e amministrativo, fornisce strumenti efficaci per tutelare e garantire quei diritti universali che le libere dinamiche della società, in cui il più forte detta le proprie condizioni, non possono assicurare. Di fronte a un interesse come quello a interrompere il vorticoso processo di contagio dell’intera umanità, non c’è dubbio che la regia della soluzione debba essere nelle mani delle istituzioni pubbliche, nazionali e sovranazionali.

Difendere l’interesse pubblico

A livello nazionale molti paesi hanno generosamente finanziato le case farmaceutiche per le attività di ideazione, sviluppo e produzione dei vaccini. Il contributo è pubblico, ma l’attività e la proprietà del know how restano private. Eppure da sempre gli stati curano interessi pubblici “commissionando” attività di ricerca, cioè servendosi di contratti nei quali è pacifico che la proprietà del prodotto è di chi eroga il finanziamento. Questa regola, valida nella ricerca a fini militari, viene dimenticata per la produzione di strumenti di tutela della vita o dello sviluppo economico. Chiari i vantaggi della situazione dello stato proprietario del vaccino: se la produzione non avviene con la quantità e qualità adeguata, si ricorre ad altri fornitori. Perché dare ingenti somme a fondo perduto per il cosiddetto “vaccino italiano”, quando queste possono essere erogate attribuendone allo stato la proprietà?

Per quanto riguarda i vaccini realizzati senza sostegno pubblico lo stato può acquistarli, con le garanzie proprie dei contratti pubblici, quali la trasparenza delle condizioni contrattuali, che non può essere “minacciata” come forma di pressione contro gli inadempimenti, ma è imposta da normative nazionali (codice dei contratti pubblici) e comunitarie (direttiva 89/105/Cee del Consiglio). Esistono poi strumenti pubblici di gestione del contratto in essere, che, nel caso specifico dei farmaci, consentono di incidere unilateralmente sul costo, imponendo sconti obbligatori.

Se non basta, perché la fornitura è insufficiente, si può pensare a strumenti più incisivi, quali l’espropriazione della proprietà brevettuale attraverso una licenza obbligatoria, che consenta una produzione massiccia del vaccino da parte di altri stabilimenti farmaceutici, pubblici e privati. A livello internazionale gli stati possono e debbono elaborare strategie comuni, presentandosi come un acquirente comune, dotato di maggiore forza contrattuale, in grado di imporre il prezzo a livello globale per garantire una fornitura eguale a tutti.

Ma l’eventuale estendersi della pandemia può richiedere una vaccinazione ancor più rapida e massiccia, rispetto anche agli attuali piani, perché le case farmaceutiche hanno sì sviluppato vaccini efficaci, ma non sono in grado di fornirli a tutti in tempi rapidi. Si può, allora, intervenire sulla validità dei brevetti, sulla base delle convenzioni internazionali vigenti: gli stati concordano per far valere la deroga prevista dall’accordo di Marrakech, che ha istituito l’Omc, e dal Trips, sospendono il brevetto, coordinando una produzione massiccia dei vaccini in tutti gli stabilimenti farmaceutici del mondo, riconvertendo anche industrie diverse per realizzare una produzione più intensiva. Gli strumenti di tutela dell’interesse generale, propri dello stato liberale, ci sono tutti. Si tratta di usarli.

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