Io ho molti amici che si asterranno, dicono, dal voto, o deporranno scheda bianca. Cari amici, a voi vorrei rivolgermi, perché credo di capire le vostre ragioni.

Credo che come me voi siate semplicemente attoniti di fronte alla sproporzione fra la drammaticità delle questioni che attanagliano oggi  la nostra vita - dalla desertificazione della terra fino all’escalation sempre più agghiacciante dell’urlo di guerra nel cuore dell’Europa – e la pochezza, la miopia, a volte la meschinità delle proposte, per non parlare dell’apparenza penosamente egocentrata quando non egotomane della magior parte dei protagonisti di questa campagna.

Io credo però che non votare in queste elezioni significhi solo spalancare la porta a quelli che sanno bene cosa vogliono. “Prima gli Italiani”.

Vogliono cioè l’Italietta della nostra vergogna. L’Italia degli abusi e dei soprusi, dei condoni e dei perdoni, dell’evasione, della corruzione, della cementificazione – e tutto questo, per di più, chiamano “patria”. E l’Europa che vogliono qual è? “L’Europa delle nazioni”.

Cioè quella dei governi che disconoscono di principio o di fatto la prevalenza del diritto europeo su quello nazionale.

Lasciare la porta a costoro significa affossare definitivamente la sola grande speranza che nacque dalle tragedie del secolo scorso, nacque con le grandi dichiarazioni universali dei diritti umani, con le istituzioni costruite perché quel grido, “mai più”, che aveva attraversato il mondo dopo la prima strage nucleare, diventasse etica e vita civile quotidiana, perché oltre i muri della guerra fredda si spalancasse finalmente un ordine mondiale nuovo.

Dove alla selva geopolitica selvaggia degli equilibri di potenza si sostituisse l’impero del diritto, e la guerra cessasse per sempre di essere la continuazione della politica con altri mezzi.

E’  il sogno che fu di Altiero Spinelli e poi di Mikhail Gorbaciov – sì, che fu anche quello di una Russia politicamente all’altezza della sua immensa tradizione poetica e artistica, umanistica e tragica, di una cultura, di una lingua, senza la quale l’Europa perde un immenso pezzo d’anima. E’ il solo sogno che possiamo ancora chiamare “Civiltà Europea”.

Io non sto dicendo che votare contro chi non lo ha mai neppure capito o ci ha sputato sopra sia una condizione sufficiente perché un giorno si realizzi.

Dico però che astenersi, oggi, è dare un grande contributo a che questo sogno sia definitivamente affossato. Per noi e – se ci sopravviveranno – per i nostri figli e nipoti.

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