L’immagine della vittoria schiacciante del centrosinistra ai ballottaggi delle elezioni amministrative è il gesto di trionfo, con le mani intrecciate e le braccia levate al cielo, di Enrico Letta, Roberto Gualtieri e Nicola Zingaretti a piazza Santi Apostoli a Roma. Il segretario del Partito Democratico, il sindaco neoeletto della capitale e il presidente della Regione Lazio hanno più di un motivo per festeggiare. Eppure l’immagine è significativa non solo per ciò che contiene, ma anche per ciò che lascia fuori.

Sul palco sono tre uomini tra i cinquanta e i sessant’anni. A Torino è ancora un uomo, Stefano Lo Russo, a celebrare la vittoria. A Trieste, l’unico comune che va a destra, c’è Roberto Dipiazza. E uomini sono anche tutti gli altri sindaci eletti nelle città capoluogo. Neanche una donna.

«Constato che a livello nazionale il più votato è il Partito MedioMan (bianco, mezza età, con la giacca)», ha ironizzato Barbara Kenny, caporedattrice della rivista InGenere.it

Nessuna sorpresa, ovviamente. Perché la corsa delle amministrative è cominciata con un numero esiguo di candidature femminili, che sono state premiate solo in alcuni comuni di piccole dimensioni. Nessuna donna è andata ai ballottaggi nelle grandi città. A Roma e Torino sono uscite di scena, in modo diverso, le uniche due sindache che governavano comuni con più di 200mila abitanti.

Arriveranno certo vicesindache e assessore a bilanciare lo squilibro. Ma questo non cancella la domanda: dove sono le donne nelle grandi competizioni politiche? Accanto al dato dell’astensione, che è ai massimi storici, questo quesito dovrebbe agitare i sonni di chi fa o osserva la politica (salvo, forse, di Giorgia Meloni).

Strade bloccate

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È la politica, in particolare quella dei partiti, che blocca la strada alle donne, o sono le donne a sentirsi estranee? Il quadro è complicato e la risposta difficilmente univoca. Non basterà, però, richiamare ancora una volta il senso di inadeguatezza che molte provano, a causa di un’educazione che lo inculca in loro fin da piccole e con ogni mezzo.  

Abbiamo infatti le prove che le donne, dove i meccanismi selettivi non sono d’ostacolo, possono entrare in grandi numeri nei luoghi della rappresentanza. È successo, in modo plateale, nei momenti di più forte affermazione del Movimento 5 Stelle, che – privo di meccanismi interni di selezione verticale – ha consentito alla più grande percentuale di donne mai vista nell’Italia repubblicana di essere eletta in parlamento. È del resto questa stessa forza che ha espresso Virginia Raggi e Chiara Appendino come sindache di Roma e Torino.

Si può ridimensionare la portata di questa novità sottolineando come ha fatto la ministra Elena Bonetti che «non sempre le donne si sono dimostrate all'altezza del ruolo che dovevano svolgere».

Questa osservazione, però rinforza il doppio metro di giudizio per l’operato dei due generi. Non è forse un segno di compiuta parità che le donne possano dare prova di sé, nel bene o nel male, come i colleghi uomini fanno da tempo immemore?

Se invece ampliamo lo sguardo alla politica dei movimenti e delle piazze, scopriamo che le donne, specialmente le più giovani, sono tutt’altro che assenti. Basta guardare al nuovo movimento ambientalista, di cui le ragazze hanno assunto la guida.

Non estranee, quindi, alla passione politica, le donne sembrano piuttosto estraniate dai partiti e dai meccanismi di selezione della leadership. Mettersi in ascolto della forza che stanno esprimendo ovunque, e abbattere gli ostacoli al loro protagonismo, è un obiettivo che non si può più rimandare.

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