Gentile Direttore, il suo articolo di fondo di ieri merita una messa a punto non certo per il tema delle nomine, scelta che spetta esclusivamente agli azionisti, ma per le reticenze e le falsità con cui lei collega Eni in modo fazioso ad atti ed eventi negativi, e addirittura tragici, con i quali Eni non ha nulla a che fare.  

1 – Sulle vicende giudiziarie si è già pronunciata la magistratura, assolvendo in via definitiva Eni e i suoi manager con formula piena o con richieste di archiviazione. Quanto alle querele, i suoi lettori devono sapere che Eni non ha querelato nessun giornale in sede penale, ma ha esercitato il diritto, a tutela di tutti i suoi stakeholder, di chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e reputazionali provocati da articoli accusatori privi di ogni fondamento. Come tutti, anche Domani è tenuto al rispetto della legge.

 2 – In Libia Eni è rimasta anche durante la guerra civile, per produrre fonti energetiche a beneficio prima di tutto dei libici. Eni ha quindi aiutato il popolo libico, per questo la sua presenza nel Paese è rimasta solida nel tempo. E ora è la prima azienda internazionale che sta facendo ripartire gli investimenti nel Paese. Collegare poi Eni al tema degli scafisti è vergognoso.

 3 – Eni anche in Egitto produce energia prevalentemente per la popolazione egiziana, generando sviluppo locale in misura importante. Dovremmo abbandonare tutto? Con quali conseguenze? Peraltro, la vicenda Regeni è stata una tragedia rispetto alla quale in questi anni anche Claudio Descalzi ha provato a dare un suo contributo, pur essendo un capo azienda e non avendo alcun ruolo politico.

 4 – Insinuare che Eni abbia spinto per aperture all’Iran, un Paese soggetto a sanzioni, è privo di senso, anche perché in Iran non operiamo più da anni.

 5 – Descalzi non ha aumentato la dipendenza dalla Russia, ma ha gestito i contratti pluriennali con Gazprom, stipulati anni prima, secondo gli interessi dell’azienda e del Paese, e al tempo stesso ha investito per tempo nella diversificazione degli  approvvigionamenti di gas focalizzando l’azienda sulle proprie produzioni internazionali (come Algeria, Egitto, Congo, Angola, Mozambico). D’altra parte, l’emancipazione dalle importazioni di gas dalla Russia non poteva essere fatta dalla sera alla mattina con un colpo di bacchetta magica. Ma ora è a portata di mano. Se Eni non avesse fatto quegli investimenti, sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, reggere la scorsa estate quando i prezzi del gas superavano i 300 euro e la stampa, voi compresi, ci chiamava ogni giorno per fare il conto di quanti metri cubi di gas russo eravamo riusciti a sostituire per riempire gli stoccaggi e abbattere quei prezzi.

Verrebbe da dire che il tema della sicurezza energetica, in un mondo che ancora si basa prevalentemente sulle fonti tradizionali (e non per colpa di Eni), è un tema troppo serio per essere lasciato alla propaganda e ai pregiudizi.

Domani, come ogni altro giornale, è libero di commentare come crede le vicende di un’azienda, ma i fatti restano fatti e la storia bisogna raccontarla tutta.

Chiediamo cortesemente per completezza di informazione la pubblicazione integrale di questa nostra precisazione.

 Roberto Albini, Head of Media Relations, Eni SpA


Risponde Stefano Feltri:  Ringrazio Eni per questa replica che conferma quanto scrivevo nell’editoriale, cioè l’attitudine a considerare illegittimo qualunque punto di vista che non sovrapponga integralmente l’interesse nazionale a quello di Eni, la cui gran maggioranza dei soci è peraltro privata.

Il fatto di denunciare i giornali in sede civile è soltanto indicativo che l’obiettivo è condizionare la stampa e non segnalare un reato.

Difficile poi immaginare come notizie vere, ancorché presentate in modo sgradito, o opinioni non apprezzate possano condizionare le prospettive economiche di un colosso come Eni che solo marginalmente dipende dal mercato retail (scappano gli utenti di gas e luce?).

Quindi, Domani non è per niente «libero di commentare come crede le vicende di un’azienda». Ma è libero di commentare molte aziende, che al massimo replicano, dialogano, interagiscono. L’Eni non è tra queste.

Dunque, non mi azzardo a dire più nulla sulle vicende giudiziarie: ogni accenno al merito comporta esporre me e il giornale ad altre azioni legali. Eni può dire: missione compiuta.

Che sia stato un gigantesco errore consolidare per l’Italia la dipendenza dalla Russia lo ha detto anche, da premier, Mario Draghi in parlamento, con tono giustamente indignato. E mentre l’Italia paga il costo di quell’errore, Eni registra un utile record a 13,3 miliardi grazie soprattutto al ramo exploration and production (petrolio e gas) e all’ «ambiente favorevole nelle materie prime», cioè prezzi alti.

Quando si stipulavano i contratti con la Russia, Descalzi era il numero 2 dell’Eni, e da amministratore delegato non mi pare li abbia messi in discussione fino a dopo l’invasione.  

Sull’Iran, chiedetene conto a Descalzi, di cui negli anni del suo mandato si registrano posizioni sull’Iran favorevoli alla riduzione delle sanzioni o ipotesi di ritorno nel paese.

Attribuire a me «falsità e reticenze» lo trovo poi diffamatorio ma, a differenza di Eni, io tollero anche opinioni sgradite e non avvierò un’azione civile a difesa della reputazione mia e del giornale.

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