Esistono valori e principi universali che appartengono all’umanità e non sono prerogativa dell’occidente, una sorta di marchio di fabbrica. Esportare la democrazia non c’entra niente con la difesa della libertà delle donne. Vale in Afghanistan come in qualunque altra parte del mondo».

In un’intervista con Umberto De Giovannangeli, sul Riformista del 2 settembre scorso, Dacia Maraini ha ribadito questa convinzione che aveva già espresso con vigore e largo ascolto – spesso però estremamente critico – nei giorni scorsi. Questa volta però l’intervista le permette di esplicitare con parole icastiche e vivide un punto che, pur essendo da decenni al centro della ricerca e della discussione filosofica, non sembra aver mai sfiorato la mente dei più letti opinionisti, e purtroppo, sembra, neppure dei decisori politici.

È una tesi che ha due parti, una critica e una positiva. Quella critica è che i valori che stanno alla base dei diritti umani (in particolare quelli degli umani discriminati, in particolare quelli delle donne) non sono affatto una prerogativa “occidentale”, e quindi promuoverli – “la difesa della libertà delle donne” – non c’entra niente con “esportare la democrazia”. Questo è un punto sottile, su cui rischiamo in molti di dare per scontato il senso estremamente ambiguo di espressioni di uso giornalistico.

“Esportare la democrazia” può voler dire molte cose, anche se fa saltare subito i nervi a chi non crede nell’imporre il bene con la forza, anzi ritiene concettualmente sgrammaticata questa idea: e allora anche qui, con gli occhi a ciò che è successo veramente, si può sostenere che “esportare” la democrazia può anche voler dire tutt’altro, ad esempio sostenere la possibilità per tutti di istruirsi, la creazione di attività economiche e opportunità di crescita, sostenere chi in loco cerca di costruire istituzioni al servizio dell’interesse pubblico delle comunità locali.

Resta però l’ambiguità iniziale, che fa pericolosamente scivolare il discorso su una china paternalistica, e rischia di occultare, nel caso specifico, l’origine della guerra in Afghanistan, che non fu affatto decisa avendo in vista la democrazia altrui, ma la sicurezza propria (una decisione che chi scrive considera sciagurata). Ben venga dunque la pars construens, e non è forse un caso che a sostenerla con estrema chiarezza sia una scrittrice.

Un’esperta di esperienza per così dire, oltre che, nel caso specifico, di antropologia, e professionalmente impegnata a evocare i contenuti del vissuto umano nella loro varietà indicibile, a farli in qualche modo rivivere al lettore attraverso la forza della scrittura più che l’analisi dei concetti. Uno scrittore è in primo luogo un viaggiatore dell’umano, oggi si direbbe un cultore dell’empatia, che non vuole affatto dire identificarsi con gli altri, ma essere capaci di recepire i dati come a loro sono dati: ci vuole una forma di attenzione fondata su una tecnica dell’umiltà, che i filosofi chiamano epoché, sospensione temporanea delle proprie posizioni.

Niente nazionalità e dogane

Al dunque: la tesi è che i valori non sono affatto costrutti culturali, ma dati d’esperienza personale, individuale o condivisa. Sono le qualità positive o negative (disvalori) delle cose e delle relazioni, e si vivono, si soffrono, si godono. Un coltello che taglia male non è un buon coltello, una relazione opprimente per una parte non è una relazione buona. Naturalmente occorrono alfabetizzazione, concetti, apprendimento della storia e dell’esercizio critico e logico per fare di queste esperienze basi di pensieri articolati e ben fondati, cioè di giudizi: convinzioni morali e civili proprie, e giudizi pratici e politici.

Cosa c’entri l’esportazione, veramente a guardar bene non si vede: a meno che si parli di export-import, cioè di commerci umani, scambi di conoscenza, di scienza, di tecnologia, di arti.

La prima cosa che è universale e non occidentale, in effetti, sono i giudizi veri e ben fondati, cioè le conoscenze. Il pensiero non ha padrone – figuriamoci nazionalità o dogane. Grazie a una scrittrice di avercelo ricordato anche per il pensiero assiologico, e più semplicemente morale e civile.

 

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