E’ trascorso solo un mese dall’apertura delle scuole—che ha segnato un timido ritorno alla normalità—e purtroppo sembra di essere ripiombati nell’incubo di questa primavera.

Sebbene l’emergenza sanitaria sia ancora lontana dai picchi drammatici di marzo, non mancano i motivi di preoccupazione. Il rapido aumento dei contagi (anche se calcolati come in rapporto al maggior numero di tamponi) si accompagna all’aumento delle ospedalizzazioni, soprattutto in terapia intensiva, e l’assenza del vaccino impone un tentativo di  convivenza con il virus per i prossimi mesi.

E’ necessario intervenire nell’immediato per rallentare la curva dei contagi e circoscrivere i focolai.

Al tempo stesso, ogni politica di contenimento del virus deve tenere in considerazione gli effetti che può esercitare sull’economia.

Un secondo lockdown generalizzato rischierebbe di avere conseguenze drammatiche che graverebbero su una situazione già precaria, a fronte di un’economia che quest’anno prospetta una contrazione di oltre il 10 per cento.

In questi giorni, si rincorrrono notizie su una serie di provvedimenti che governo, regioni e amministrazioni locali valutano di mettere in atto per rallentare la diffusione del virus.

Come di fronte a un qualunque scenario non più inedito, sarebbe indispensabile trarre dall’esperienza elementi che aiutino a prevedere i costi economici e sociali delle diverse misure di contenimento.

L’esperienza della prima ondata ha mostrato come la paura, più ancora che le regole, sia stato l’elemento fondamentale che ha guidato comportamenti e scelte individuali.

Anche dal punto di vista prettamente economico, diventa quindi prioritario affrontare la crisi sanitaria. In altre parole, non esiste un trade off tra crisi economica e crisi sanitaria, ma si tratta di trovare un equilibrio tra contenere i contagi e salvaguardare l’economia.

La paura conta

Diversi studi sulle esperienze di Stati Uniti ed Europa, tra cui un’analisi pubblicata recentemente dal Fondo monetario internazionale, mostrano che la contrazione dell’attività economica è stata più accentuata nei periodi e nelle aree con la maggiore incidenza di contagi.

La paura dei contagi e le misure di distanza sociale hanno indotto la riduzione volontaria della mobilità e, di conseguenza, dell’attività economica prima ancora dell’attuazione di misure restrittive da parte del governo.

Questa conclusione emerge anche dal confronto tra Danimarca e Svezia che hanno registrato tassi di contagio simili nella prima fase della pandemia: l’attuazione di misure più restrittive in Danimarca si è tradotta in una contrazione dei consumi solo di poco maggiore di quanto avvenuto in Svezia. Analogamente, nella fase di riapertura, la mobilità e le attività economiche si sono avvicinate solo gradualmente ai livelli pre-crisi.

L’evoluzione dei contagi e degli indici di mobilità sul territorio nazionale nel corso delle ultime settimane suggeriscono conclusioni simili.

A partire dalla ripresa dei contagi, la mobilità (misurata sulla base dei dati provenienti dai telefoni cellulari) si è ridotta drasticamente, senza che fossero ancora attuate restrizioni agli orari di apertura o imposte chiusure delle attività commerciali.

Inoltre, nelle prima due settimane di ottobre, l’indice di mobilità ha registrato una maggiore riduzione nelle regioni con più alto numero di contagi.

Un ulteriore rallentamento dell’economia appare quindi inevitabile, anche quolora il governo non imponesse lockdown.

D’altro canto, alcune misure restrittive al vaglio in questi giorni, se messe in atto rapidamente, favorirebbero il contenimento dei contagi e, al tempo stesso, garantirebbero un sostegno all’economia nel medio periodo e una ripresa più rapida. Inevitabilmente, tali interventi imporrebbero costi nell’immediato, non trascurabili e destinati a gravare sulle categorie più deboli, specialmente donne, giovani e lavoratori a basso reddito.

Per evitare che la crisi si traduca in un ulteriore aumento della povertà e delle disuguaglianze, le restrizioni volte a rallentare la diffusione del virus devono essere controbilanciate da misure pubbliche redistributive a sostegno delle fasce della popolazione più vulnerabili ed esposte alla crisi.

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