Con il via libera alla riforma proposta dal ministro Valditara torna al centro del dibattito il rapporto tra il mondo della formazione e quello del lavoro. L’obiettivo generale è sicuramente condivisibile, ma i limiti non sono pochi
Con il via libera alla riforma proposta dal ministro Giuseppe Valditara torna al centro del dibattito il rapporto tra il mondo della formazione e quello del lavoro. Il disegno di legge infatti ha l’ambizioso obiettivo di ripensare la formazione tecnica e professionale in Italia costruendo una filiera formativa che metta in dialogo i diversi tasselli oggi presenti e spesso non così ben collegati tra loro.
Nel concreto sono diversi i cambiamenti che si pensa di introdurre, i più importanti riguardano la sperimentazione, nel limite del 30% degli istituti, di percorsi quadriennali e non più quinquennali a partire dall’anno scolastico 2024/2025, la costruzione di un raccordo con le ITS Academy al loro termine e il coinvolgimento maggiore, come docenti, di personale esterno proveniente dal mondo del lavoro e delle professioni.
L’obiettivo generale è sicuramente condivisibile, ossia quello di costruire percorsi formativi che siano più allineati alla durata degli altri paesi europei e allo stesso tempo coordinare meglio la filiera formativa tecnico-professionale. Ma non sono pochi anche i limiti che emergono al momento, a partire da una genesi legislativa complessa, che ha la forma di un disegno di legge e che si innesta su un iter già avviato dal precedente ministro.
Ripensare la didattica
Al di là di questo molto però si giocherà su come verranno effettivamente costruiti i nuovi percorsi quadriennali, se le scuole decideranno (ed è tutto da vedere) di avviare la sperimentazione. La sfida infatti è quella di un ripensamento integrale della didattica, senza il quale il rischio è quello di una riduzione dei contenuti formativi oggi trasferiti in cinque anni per contenerli in un quadriennio.
Questo è particolarmente importante all’interno di percorsi formativi fortemente vocati all’innovazione, che richiedono quindi una struttura in grado di aggiornarsi rapidamente per cercare di garantire, insieme a una forte formazione di base che giustamente si vuole potenziare, competenze tecniche aggiornate.
Allo stesso tempo se si vuole valorizzare la formazione tecnica e professionale e farlo non solo per inchinarsi ai fabbisogni delle imprese è necessario innovare la didattica così che a beneficiare di un rapporto con il mondo del lavoro siano le competenze e i profili degli studenti.
Gestione centralizzata
Alla luce di questo appare poco ambizioso ritenere di poter governare tutto questo attraverso una struttura tecnica di missione nazionale incardinata nel ministro dell’Istruzione, pur promuovendo sulla carta una giusta declinazione sotto forma di campus. Sappiamo infatti che le filiere nel nostro paese non sono solo settoriali ma profondamente radicate nei contesti territoriali e che le scuole tecniche e professionali che più funzionano sono quelle che possono beneficiare di un vero rapporto con il tessuto produttivo.
In questo quadro di gestione centralizzata il rischio è che poi localmente, a livello territoriale ma anche di singoli istituti, non si sia in grado (per assenza di competenze di varia natura) di implementare davvero l’integrazione della filiera formativa con la filiera produttiva e quindi valorizzare i percorsi nei quali i giovani potrebbero essere inseriti. Abbiamo già avuto modo di vedere avverati questi rischi in tante occasioni, da ultimi con la mancata implementazione delle politiche attive del lavoro bloccate all’interno di una struttura amministrativa centralistica e poco costruite nei territori.
Il ruolo delle regioni
Allo stesso tempo resta inevasa la questione dell’identità e soprattutto delle differenze tra istruzione professionale e i percorsi di istruzione e formazione oggi gestiti dalle regioni: con questa sperimentazione, entrambi i corsi potrebbero avere una durata quadriennale, aumentando così la sovrapposizione tra questi due segmenti formativi.
Più ambizioso sarebbe invece stato unificarli, promuovendone una governance decentrata e territoriale, favorendo la riconoscibilità dell’istruzione professionale (agli occhi di giovani e imprese) e sperimentando innovativi metodi didattici basati sulla commistione tra formazione e lavoro.
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