Il price cap si farà. L’intesa raggiunta nella notte tra giovedì e venerdì dai ventisette capi di stato e di governo Ue fissa l’auspicato punto fermo per l’istituzione di un tetto al prezzo del gas, dando mandato alla Commissione di assumere «decisioni concrete» verosimilmente già nelle prossime settimane. Impossibile, per il momento, giudicare oltre, visto che i dettagli tecnici sono ancora da definire.

Sullo sfondo, in ogni caso, resta un timore. L’ipotesi, cioè, che l’intervento calmierante dell’Europa finisca per oscurare un problema più grande: la regolamentazione del Title Transfer Facility, o Ttf, la borsa europea del gas con sede ad Amsterdam.

A suggerirlo in anticipo, in questi giorni, è stata un’analisi interna elaborata da ReCommon che prende in esame tutti gli aspetti irrisolti che caratterizzano la piattaforma fondata nel 2003 e dalla quale dipende oggi il prezzo finale pagato dai consumatori. Un elenco di fattori critici, quello stilato dall’organizzazione attiva nelle campagne di responsabilità sociale e ambientale, che include, tra gli altri, la sostanziale assenza di controllo e informazioni oltre alla diffusa presenza di soggetti del tutto estranei al mercato fisico. Ovvero le società finanziarie che controllano a loro volta i fondi speculativi.

Tra marzo e ottobre del 2021 il prezzo dei contratti futures (che fissano il prezzo di acquisto differito del gas) è quasi triplicato passando da 17,2 a 44,9 euro per Mwh. Alla fine di dicembre il valore ha superato quota 130 salendo poi fino al picco di 349,9 del 26 agosto 2022. Come è stato possibile?

L’innesco non è mai stato chiarito del tutto ma alcuni elementi contribuiscono a delineare una probabile interpretazione. Tra settembre e ottobre dello scorso anno, secondo un’indiscrezione diffusa dalla Reuters, alcuni dei maggiori commodity traders del pianeta erano stati costretti a coprire le loro posizioni in perdita. Sul piatto, affermava l’agenzia, c’erano 30 miliardi di dollari di scommesse al ribasso sul gas sotto forma di contratti derivati piazzati sul mercato.

Semplificando, basta ricordare quanto segue. Primo: se hai puntato sulla discesa sbagliando clamorosamente previsione, coprire le posizioni assunte tramite i futures può costare molto caro. Secondo: questo tipo di operazione può favorire ulteriori rialzi di prezzo. Sintetizziamo ulteriormente: perdite significative per qualcuno, profitti enormi per qualcun altro.

È stato a quel punto che gli osservatori esterni hanno iniziato a comprendere come le caratteristiche stesse di un mercato estremamente “finanziarizzato” stessero favorendo palesemente una serie di attori che con l’approvvigionamento del gas, almeno in teoria, non dovrebbero avere nulla a che fare. Il riferimento corre ovviamente agli hedge, i già citati fondi speculativi, capaci di incassare nello spazio di tre trimestri rendimenti compresi tra il 20 e il 94 per cento.

Emblematica la sintesi offerta dal vicepresidente esecutivo del colosso petrolifero Shell, Steve Hill: «Storicamente questi soggetti operano nello scambio del greggio e sull’Henry Hub (la piazza di riferimento per il gas americano, ndr)», aveva dichiarato nel febbraio del 2022. «Il loro forte ingresso nei mercati europei ha fatto aumentare la volatilità e l’incertezza».

A settembre la Commissione aveva realizzato un’analisi preliminare evidenziando per la prima volta i limiti del Ttf. Creata essenzialmente per la gestione del gas in entrata nei Paesi Bassi, la piattaforma di scambio dovrebbe rappresentare appena un mercato regionale, eppure si è trasformata in un punto di riferimento per l’intera Europa.

A pesare è la carenza informativa – pochissimi i dati forniti dal suo gestore, ovvero l’Intercontinental Exchange (ICE) il colosso americano che controlla Nyse, cioè la borsa di New York, oltre a diverse piazze di scambio delle materie prime sparse tra Europa, Singapore ed Emirati Arabi – così come il debole monitoraggio da parte dell’Esma, l’authority continentale degli strumenti finanziari. In questo quadro, ammette la Commissione, i valori del Ttf hanno superato del 30 per cento i prezzi medi registrati nei punti di scambio virtuali del gas di alcuni paesi come Regno Unito, Francia e Spagna.

A oggi, in ogni caso, non vi sono proposte per una stretta regolamentare sulla trading facility olandese. L’unica ipotesi in discussione, per ora, prevede la costruzione di un nuovo indice di riferimento per il gas naturale liquefatto (Gnl) capace di ridurre l’impatto del Ttf sul prezzo. Una “riforma” indiretta, insomma. Il cui iter, in ogni caso, non è ancora stato definito.

«Ancora una volta rischiamo che la montagna di proposte avanzate nelle ultime settimane dalla Commissione partorisca un topolino», spiega Antonio Tricarico, program director di ReCommon. «È giunto il momento che nelle stanze di Bruxelles si abbandoni l’approccio ideologico fallimentare che ha modellato il mercato del gas europeo solo a vantaggio delle lobby del settore e si metta mano pesantemente al funzionamento di tutti gli aspetti del comparto, a partire da quelli finanziari».

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