Che significato attribuire all’insieme di gaffe, errori, travisamenti, inciampi ed equivoci che ha accompagnato le prime settimane del nuovo governo? Nel primo Consiglio dei ministri, messo in allarme da un rave party che si stava svolgendo a Modena – evento in sé non privo di rischi, ovviamente non autorizzato, ma che si sarebbe presto esaurito pacificamente e senza danni – il governo improvvisa un decreto draconiano che inventa nuove incerte fattispecie di reato penale e introduce pene esorbitanti. Decreto presto contestato, inefficace, in palese conflitto con diritti fondamentali e che dovrà essere rivisto.

Il ministro Carlo Nordio, giurista e noto garantista, arrossisce, o almeno così speriamo. «La legge si rispetta», tuona il bravaccio. E poi c’è la riammissione negli ospedali dei medici No-vax e l’eliminazione delle mascherine, mentre preme la questione annosa, anzi epocale, degli sbarchi.

Senza consultare l’alleato, Giorgia Meloni crede a un lancio di agenzia e fa respingere la Ocean Vicking, che il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, dirà essersi diretta spontaneamente verso la Francia (così, per girellare nel Mediterraneo). E poi giù a dare cifre farlocche sull’accoglienza, a pasticciare con le leggi e gli accordi internazionali.

Si inventa l’accoglienza selettiva e si tenta di far ripartire il “carico residuo” di migranti, scontentando tutti in Europa e mettendo in crisi i rapporti con la Francia, che inasprisce i controlli alle frontiere. Il tutto per 234 migranti rispediti in Francia in barba a tutte le convenzioni e le norme.

Fra fantasia e realtà

Nel frattempo il ministro Gilberto Pichetto Fratin va alla Cop27 di Sharm el Sheikh senza saperne nulla e non parlando inglese, mentre Gennaro Sangiuliano sfarfalleggia ad libitum; crede di nominare la Mont Pelerin Society senza saperne nemmeno il nome; lamenta che non si facciano film su Pirandello quando un film su Pirandello è nelle sale, propone una fiction su Oriana Fallaci mostrando di non sapere che è stata fatta nel 2015. E il ministro Giuseppe Valditara pensa a indottrinare gli studenti italiani sul comunismo.  

Eccetera. Sospendiamo le notizie di cronaca. Passiamo alla fantasia. Immaginiamo un sistema di governo parlamentare. Un governo che amministra. Una opposizione non ne condivide gli orientamenti e sulla base di una diversa visione del mondo, di un diverso programma, contesta, critica, dà battaglia sui singoli provvedimenti, nelle commissioni e in aula.

Finché guadagna consensi grazie a quel rigoroso argomentare (che bello sarebbe se così fosse), vince le elezioni e si appresta a governare, forte dei suoi dossier, dei suoi tanti progetti.

Sgangherati per ragioni storiche

Questo nel regno della fantasia. Torniamo nella realtà. Cosa succede in Italia? Perché quel turbinìo di improvvisazioni e di sgangheratezze? Intendiamoci, a ogni governo può capitare di avere qualche toninello tra le sue file. Chi è senza peccato… Ma, a proposito: gaffe e pastrocchi dei ministri Cinque stelle avevano una ragione storica.

Era il loro un movimento antipolitico, anti istituzionale, che inalberava onestà, odio alla casta e fedi antiglobal ambientaliste no finanza no poteri forti no casta no Tav no Tap, no tutto. Con quel bagaglio, si può capire che sia planato sulla concreta amministrazione come sulla luna.

A sua volta, l’antipolitica della destra leghista e forzitaliota era nata a suo tempo dalla società civile produttiva del nord, badando ai danee e schifando Roma ladrona.

Non così i Fratelli d’Italia, partito ideologico, erede di una lunga contestazione alla democrazia liberale e all’Europa. Si poteva pensare che un programma di governo l’avesse.

L’opposizione

Forse la matrice di tanta sconclusionatezza è proprio nella natura di quella opposizione. Nella storia repubblicana, mentre governava un pragmatico consociativismo, era all’opera tutto un armamentario retorico costruito su storiche polarizzazioni ideologiche (fascisti/comunisti, destre/sinistre, laici/cattolici). Scomparse le ideologie, è rimasta la polarizzazione, ormai vuota di contenuti.

C’è chi ha scritto di una «transizione dalla polarizzazione ideologica della Guerra fredda a una polarizzazione altrettanto incandescente ma di natura soprattutto retorica, fondata molto meno sul conflitto tra diverse visioni del bene comune che sullo scontro tra gli interessi particolari che ciascun partito difendeva, per conto di diverse minoranze organizzate» (così Andrea Capussela). 

In quel contesto, accade allora che quando gli oppositori retorici vincono le elezioni e si ritrovano al governo, paradossalmente, improvvisano.

I primi passi

Mentre distribuiscono contentini a mo’ di santini e pourboire (una strizzatina d’occhio ai No-vax negli ospedali, un ponte sullo stretto, una mancetta ai pensionati e agli evasori …) devono dare segnali, non importa se contraddittori, di affermazione retorica. Ma non hanno preparato dossier, né gerarchie di urgenze.

Hanno lasciato che per un mese i giornali si sbizzarrissero a tirar fuori nomi di illustri tecnici, mentre cencellavano tra i seguaci. E non sanno argomentare, né il loro elettorato si attende che lo facciano. A loro basta dare segnali. Uno è il cambiamento dei nomi ai ministeri.

A parte il gran lavorìo su carta intestata, timbri e targhe, i nuovi nomi alludono a una qualche progettualità. Che però non c’è. Si veda la questione del merito: questione non da poco, che ha suscitato nell’accademia alcune interessanti riflessioni filosofico-antropo-storico-pedagogiche, ma nulla da parte dei proponenti.

E poi subito, di corsa, l’innalzamento del tetto per i pagamenti in contanti. Il provvedimento è stato rinviato dal capo dello Stato perché non se ne vedeva l’urgenza. In effetti, la vorremmo sapere anche noi, perché al cittadino comune, così come alla Banca d’Italia, risulta evidente che è un sostegno all’evasione e al malaffare. Due parole di spiegazione non avrebbero guastato. 

L’obbligo di far subito

Ma appunto eredi di una conflittualità retorica poco adusa all’argomentazione, costoro non dialogano, cannoneggiano a raffica, senza prendere bene la mira.

Come se dovessero far subito, come se fossero stupiti di trovarsi lì e sentissero lo scanno traballare. Come se pulsioni lungamente represse dovessero trovare sfogo come che sia. Si veda il caso del ministro Valditara.

Noto per essere un galantuomo (una persona per bene, come direbbe qualche amico di Putin), con una lunga e degna carriera nelle file della destra. A ben vedere, il dire, a proposito dell’anniversario della caduta del muro di Berlino, che il comunismo è stato un grande sogno trasformatosi in incubo non è concetto volgare e meriterebbe attenzione.

Ma volgare lo diventa, se è un sermone affrettato, molto “di parte” e rivolto a studenti che a volte dimostrano di sapere il fatto loro più dei ministri della Repubblica.  

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