C'è un mantra che dallo scorso 25 settembre ripetono i media simpatizzanti e le classi dirigenti salite sul carro del vincitore, e sussurrato perfino da qualche maître à penser della sinistra. L'assunto è questo: Giorgia Meloni sarà anche di estrema destra, sarà circondata da balilla impresentabili e incapaci assortiti, ma lei, Giorgia, è «davvero brava. La più brava di tutti».

Se è difficile individuare le origini del mito della presunta efficienza dell'ex missina, dopo quasi un anno di governo l'assioma si sta sgretolando. Di fronte ai fallimenti dei ministri e dei famigli di cui si è colpevolmente circondata, ma soprattutto di quelli provocati da Meloni in prima persona.

La visita a Lampedusa con von der Leyen, diventata nuova madonna pellegrina della sovranista, e il video rabbioso in cui annuncia la carcerazione preventiva dei disperati che arrivano dall'Africa, segnalano non una rinnovata forza della leadership.

Ma una debolezza strutturale diventata manifesta. Un'infermità politica provocata non da inesistenti complotti di pupari progressisti, ma solo e soltanto dall'inadeguatezza delle politiche da lei messe in campo.

Lo sbandierato “Piano Mattei” per aiutare i migranti a casa loro è uno slogan-truffa dietro il quale non c'è né contenuto né strategia, mentre gli accordi con il dittatore tunisino Kaïs Saïed valgono – come dimostra il boom degli sbarchi – quanto carta straccia.

Meloni ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare: prima ha litigato con Francia e Germania, i grandi d'Europa senza il cui appoggio è irrealistico pensare di cambiare il regolamento di Dublino; poi ha ipotizzato rimpatri non fattibili, blocchi navali chimerici e, soprattutto, ha copiato Salvini puntando tutto sulla propaganda securitaria.

Senza rimettere in piedi l’unico piano che – in attesa di riforme delle norme Ue – può funzionare per gestire i flussi eccezionali: cioè il sistema degli ex Sprar per un’accoglienza diffusa e a basso impatto sul territorio.

«Meloni è bravissima: ha fatto una manovra economica seria rispettando i parametri di Bruxelles», è l'altro pezzo del postulato intonato dai cantori. Ma anche sulle politiche economiche molti osservatori sono oggi giustamente preoccupati. Sul Pnrr la decisione del capo del governo di accentrare il dossier a Palazzo Chigi nelle mani del fedelissimo Raffaele Fitto non ha dato i frutti sperati, e ora i tagli ai progetti rischiano di buttare alle ortiche un'opportunità storica. Il fiasco non sarà da addebitare solo all'esecutivo – chi lo sostiene è intellettualmente disonesto - ma è un fatto che la premier non abbia mai voluto metter mano alla riforma della burocrazia locale e centrale, primo inceppo alla messa a terra del NextGenerationEu. Ha preferito concentrarsi su premierato e autonomia, due riforme che difficilmente vedranno mai la luce in questa legislatura.

Le promesse sulla detassazione a tappeto o sulle pensioni sono rimaste inevase, mentre la cancellazione del reddito di cittadinanza ha eliminato un sostegno essenziale a centinaia di migliaia di famiglie disagiate. Mentre misure estemporanee da lei stessa immaginate per placare il populismo della sua base (in primis la tassa sull'extragettito delle banche) sono state bocciate senz'appello da organismi nazionali e internazionali.

Anche perché scritte con i piedi: saranno modificate con emendamenti ad hoc, ma comunque non porteranno nelle casse dello Stato quanto ipotizzato. Mentre il rischio Italia cresce, la manovra che verrà sembra ancora in alto mare e il Pil si avvita verso una possibile, e drammatica, recessione.

«Una secchiona»

«Meloni è una secchiona, studia i dossier, comunica bene», conclude il postulato di cui sopra. Falso. Dopo i disastri della conferenza stampa di Cutro, la premier si è chiusa nella sua casamatta.

Isolata e arrabbiata, è incapace di svestire i panni dell'agitatore d’opposizione per indossare quelli della presidente del Consiglio, rimanendo così preda davanti alle critiche di un vittimismo sistematico non consono a chi ha l'alta responsabilità di timonare il paese. Come sempre le favole della propaganda si infrangono sul principio di realtà, che svela come Meloni – ahinoi – sia assai più scarsa di quello che le leggende tramandavano.

 

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