Se non ci fosse stato Sergio Scandura di Radio Radicale, probabilmente non avremmo avuto costanti notizie sulle ricerche di un’imbarcazione con circa 40 persone a bordo, dispersa dal 12 gennaio, per la quale Alarm Phone aveva lanciato l’allarme. Nulla di strano - si potrebbe dire - i giornalisti hanno il compito di informare. Invece, c’è di strano che tace chi avrebbe l’obbligo di riferire quanto succede in mare: il comando generale della Guardia costiera. Per il caso del 12 gennaio, solo quattro giorni dopo è stato diramato un lacunoso comunicato ufficiale, inidoneo a permettere a eventuali navi di soccorso, oltre che agli organi di informazione, di sapere esattamente dove fosse accaduto l’evento. Nel dicembre scorso, per una nave dispersa con 61 persone non c’era stato nemmeno un comunicato, e ciò ha concorso ad alimentare i molti dubbi sulla vicenda, conclusasi con un naufragio.

L’obbligo di informazione della Guardia costiera

Il “Piano nazionale per la ricerca ed il salvataggio in mare”, adottato da ultimo con decreto del ministero dei Trasporti del 4 febbraio 2021, contiene una parte dedicata ai «rapporti con gli organi d’informazione», presente anche nel Piano precedente. Con riguardo «ai sinistri, alle emergenze che ne derivano ed alle misure che vengono adottate», l’informazione dev’essere «la più possibile rapida, obiettiva ed uniforme», rispondente a «requisiti di chiarezza e realismo», con notizie «concise, accurate, complete e coerenti», «date con tempestività, regolarità e cadenza fissa, possibilmente giornaliera». Nel Piano si indicano le figure della Guardia Costiera incaricate dei contatti con i media, «ciò al fine di diffondere notizie che abbiano caratteristica di univocità e di ufficialità».

Se durante una grave emergenza in mare non viene diffuso dalla Guardia costiera nemmeno un comunicato, o ne viene diffuso uno dopo diversi giorni, in violazione di quanto previsto nel Piano – per cui ci si deve affidare a rilevazioni e tracciamenti di Scandura – c’è qualcosa che non torna. E non è tutto.

Le navi delle ONG e l’effetto chilling

Oltre a questa sorta di “segreto di stato” sulle operazioni in mare, sono sempre più carenti anche le informazioni fornite dalle navi delle organizzazioni non governative (ONG). È probabile che regole onerose e arbitrarie, le quali impongono obblighi sproporzionati, tra cui quello di sbarcare i naufraghi in porti lontani, e soprattutto il rischio di multe e confische delle navi stiano determinando una sorta di effetto “paralizzante”, cioè intimidatorio (chilling effect). Il timore di possibili conseguenze legali può scoraggiare anche la trasparenza da parte di chi opera salvataggi in mare.

Il riferimento è alle normative dell’ultimo anno sulle ONG, in primis al decreto del gennaio 2023, voluto dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. In base a tale decreto, Ocean Viking è stata sequestrata giorni fa per aver modificato la rotta assegnata dall’autorità competente dopo un salvataggio, per effettuarne un altro poco distante. Qualche mese fa era toccato alla Sea-Eye 4, sottoposta a fermo amministrativo e multata per la stessa condotta.

La possibilità di un effetto intimidatorio era stata paventata nel febbraio scorso da Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, la quale aveva chiesto al governo italiano di «ritirare» il decreto Piantedosi, ma inutilmente.

L’informazione che non esiste

«Dal 2018 le autorità hanno smesso di dare comunicazioni sui salvataggi e sulle intercettazioni. Non pubblicano più dati sugli arrivi o sulla provenienza esatta. Le immagini sono pochissime, i giornalisti non possono seguire le operazioni di soccorso e spesso sono allontanati dai posti dove avvengono gli sbarchi», spiegava Scandura mesi fa, in un’intervista a Internazionale. L’opacità ebbe inizio in concomitanza con la firma del Memorandum con la Libia, ed è poi proseguita, facendo mancare un’informazione che è non solo necessaria, ma anche dovuta, in spregio al diritto alla conoscenza dei cittadini.

Se la Guardia Costiera non emette comunicati informativi, o li emette con notevole ritardo e molte lacune, e se il timore di conseguenze “ritorsive” dissuade le navi delle ONG dal fornire dettagli su attività operative, certe notizie ufficialmente non esistono. E se certe notizie non esistono, può accadere che un ministro – Matteo Salvini – sostenga con disinvoltura in tribunale che, quando era al vertice del dicastero dell’Interno, non ci sono stati morti in mare. Tutto si tiene, come sempre.

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