Un nuovo problema si abbatte sul governo di Giorgia Meloni. Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa (CoE), in una lettera inviata nei giorni scorsi al ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, chiede all’esecutivo di «considerare la possibilità di ritirare il decreto legge» sulle organizzazioni non governative (d.l. n. 1/2023, ong). O comunque che, durante il dibattito parlamentare, siano apportate a tale decreto le modifiche necessarie ad «assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale».

Mijatovic afferma che alcune delle regole contenute nel decreto ostacolano «l’assistenza salvavita da parte delle ong nel Mediterraneo centrale». In particolare, le disposizioni ai sensi delle quali le navi devono raggiungere «senza indugio» il porto assegnato per lo sbarco dei naufraghi, «impedisce alle ong di effettuare salvataggi multipli in mare, costringendole a ignorare altre richieste di soccorso nell'area se hanno già delle persone a bordo».

Ne discende che, se rispettassero questa disposizione, i comandanti delle ong violerebbero i loro obblighi di salvataggio sanciti dalle convenzioni internazionale. Inoltre, il fatto che alle navi delle ong siano assegnati, «come porti sicuri, luoghi lontani nel centro e nord Italia», «prolunga le sofferenze delle persone salvate in mare e ritarda indebitamente la fornitura di un'assistenza adeguata a soddisfare i loro bisogni primari».

Secondo Mijatovic, l’obiettivo di «assicurare una migliore ridistribuzione dei migranti e dei richiedenti asilo sul territorio nazionale» potrebbe comunque essere raggiunto «sbarcando rapidamente le persone soccorse» e poi portandole «in altre zone del paese». Infine, «l’indeterminatezza della nozione di conformità ai requisiti tecnici contenuta nel decreto» potrebbe portare a «lunghe e ripetute ispezioni di sicurezza delle imbarcazioni delle ong, impedendo loro di riprendere il lavoro di salvataggio».

Infine, la commissaria chiede al governo di sospendere la cooperazione con la Libia; e chiede altresì informazioni «sulle accuse, contenute in alcuni rapporti dei media, circa la pratica di rimpatrio di persone dall'Italia alla Grecia su navi private, dove gli individui sono privati della libertà in condizioni molto preoccupanti e senza aver avuto la possibilità di presentare una domanda d'asilo in Italia». È vero che le valutazioni del CoE non sono vincolanti ma, trattandosi di un organismo internazionale che si occupa di tutela dei diritti umani, hanno un peso rilevante.

Il parere degli esperti del CoE

La lettera della commissaria si basa sul parere reso nei giorni scorsi dal Consiglio di esperti in diritto delle ong, nell’ambito dello stesso CoE. Il parere ha valutato, in particolare, la rispondenza del decreto Piantedosi alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 11, CEDU), alla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del CoE agli Stati membri sullo status giuridico delle ong (CM/ Rec-2007-14) e alle Linee guida sul lavoro delle ong a sostegno dei migranti, adottate dal Consiglio di esperti sul diritto delle ong nel 2020. Su queste pagine, nelle scorse settimane, abbiamo esaminato quel decreto, rilevandone profili di contrarietà alle convenzioni internazionali. Le nostre osservazioni trovano ora conferma anche nel parere del Consiglio.

Gli esperti del CoE affermano, innanzitutto, che le attività delle ong rappresentano una manifestazione del diritto alla libertà di associazione garantito dalla CEDU. Dunque, qualunque regolamentazione deve rispettare tale libertà e non pregiudicarne l’essenza. Ciò significa, tra l’altro, che le finalità perseguite dal legislatore - sicurezza nazionale o sicurezza pubblica, prevenzione di disordini o reati, tutela della salute ecc. - non devono essere utilizzate «come pretesto per controllare le ong o per limitare la loro capacità di svolgere il loro legittimo lavoro né come mezzo per impedire alle persone di presentare domanda di asilo», ostacolando le attività di salvataggio e mettendo a rischio la sicurezza e i diritti dei migranti.

Invece, secondo gli esperti del CoE, il decreto sulle ong opera proprio in questo modo: utilizzando «un linguaggio vago e poco chiaro che rischia di essere interpretato in modo arbitrario», esso aumenta «in modo significativo» i paletti per le navi che effettuano missioni di soccorso, ostacolandone l’attività. Ad esempio, l’obbligo imposto al comandante, dopo l’assegnazione del porto di sbarco, di recarsi in tale porto «senza indugio», vietandogli di effettuare altre missioni di salvataggio, è in contrasto con il dovere di prestare assistenza immediata alle persone in pericolo, sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Inoltre, la recente pratica del governo italiano di assegnare porti lontani dalla posizione delle navi - che rappresenta anch’essa una violazione della Convenzione Unclos – riduce al minimo «il tempo in mare delle navi che svolgono attività di ricerca e soccorso vitali».

Ancora, il decreto prescrive che il comandante sia tenuto a dimostrare di aver informato le persone a bordo circa la possibilità di richiedere protezione internazionale e di aver raccolto i loro dati, da comunicare alle autorità nazionali competenti: ciò non solo pone a carico del personale della nave un adempimento che spetta al personale dello Stato, ma «viola anche la privacy delle persone interessate». Peraltro, l'Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) afferma che le richieste di asilo vanno trattate sulla terraferma, dopo lo sbarco in un luogo sicuro, e solo una volta che siano state soddisfatte le necessità immediate dei naufraghi.

Intimidazione alle ong

«I requisiti onerosi, arbitrari e talvolta illeciti» - nel senso che possono violare le regole del diritto del mare, esporre le persone vulnerabili a un rischio maggiore e ledere la privacy degli individui – imposti alle ong, unitamente al rischio di multe e confisca delle navi, contribuiscono secondo il CoE a un generale effetto intimidatorio (chilling effect) nei riguardi degli operatori umanitari.

In altri termini, la nuova normativa che impone obblighi illegittimi e sproporzionati, criminalizzando l’attività di ricerca e soccorso, potrebbe dissuadere alcune ong dal continuare a svolgere le loro attività. E ciò - affermano i giuristi del CoE - sarebbe grave, specie in considerazione del fatto che né lo Stato italiano né l’UE hanno più svolto sistematiche operazioni di ricerca e salvataggio in mare, «a seguito della conclusione della missione italiana “Mare Nostrum”, dello smantellamento dell'operazione congiunta Triton e della decisione degli Stati membri dell'UE di cessare i pattugliamenti marittimi dell'Eunavfor Med Operazione Sophia».

Infine, il CoE rileva che il decreto non è il risultato di un processo partecipativo e inclusivo, come prevedono le Raccomandazioni del Consiglio sopra citate, al fine di garantire che le decisioni prese dal governo beneficino degli apporti delle parti interessate, specie di coloro che hanno competenza ed esperienza sulle questioni in esame. Insomma, le ong avrebbero dovuto prendere parte a consultazioni, che non risulta vi siano state.

Secondo il CoE, il governo dovrebbe revocare il decreto «fino a quando non saranno prese misure adeguate ed efficaci per garantire che le vite dei migranti non siano messe a rischio dall'incapacità delle ong di ricerca e soccorso di lavorare efficacemente». Nel mentre, il Viminale continua ad assegnare porti di sbarco sempre più lontani. Qualche giorno fa, i minori non accompagnati salvati dalla Geo Barents, dopo una traversata nel Mediterraneo di circa 100 ore per arrivare a un porto del nord, La Spezia, sono stati trasferiti di nuovo in pullman al Sud, Foggia, con un tragitto di circa 800 chilometri.

Non sarà che, oltre a non rispettare le convenzioni sul diritto del mare, si sta anche violando la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 4), secondo cui «Nessuno può essere sottoposto (...) a trattamenti inumani o degradanti»?

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