Non è difficile cogliere, in questa per certi versi surreale campagna elettorale, l’incredulità e lo sconforto presenti nell’elettorato del centrosinistra di fronte a un centrodestra dato in costante crescita, nonostante molte delle sue idee e proposte non siano maggioritarie. Alcuni esempi?

La maggioranza degli italiani è favorevole all’introduzione di un salario minimo, ad estendere l’obbligo scolastico ai 18 anni, a mantenere una forma di tassazione progressiva.

E si potrebbe continuare nel campo dei diritti civili, del lavoro, della scuola e della sanità pubblica. Il netto spostamento a destra del baricentro del centrodestra da un lato, e la netta collocazione a sinistra dei Cinquestelle di Conte, assieme alla revisione da parte del Pd della linea di Renzi (vedi articolo18) dall’altro, hanno rimesso al centro della campagna elettorale il tradizionale asse politico sinistra-destra, oscurato in passato da diverse dicotomie costruite intorno a temi quali il populismo, l’anticasta, l’antipolitica.

Anziché utilizzare quest’asse per la definizione della loro offerta politica, sottolineando i molti punti in comune e convergenti, i principali partiti del campo progressista hanno invece enfatizzato le loro differenze.

Così, mentre una destra a trazione FdI, con al suo interno profonde diversità, si è radunata sotto le sacre insegne di “Dio, patria e famiglia”, il centrosinistra si è dilaniato sulla fedeltà all’agenda Draghi.

Il quotidiano rimpallo di accuse fra Letta e Conte, come gli appelli al voto utile nella speranza di sottrarsi qualche punto percentuale, non solo non sono utili ma, a questo punto, anche non più sopportabili.

E surreali appaiono i propositi di riprendere il dialogo dopo la sconfitta. Il tempo per la riflessione non mancherà, ma su quali basi dopo una così colossale prova di insipienza politica e miopia strategica?

Nella convulsa e iperconnessa società della comunicazione e della rete, dove ogni cambiamento e novità sono amplificati dal sistema dell’informazione, due settimane sono un tempo lunghissimo all'interno del quale possono verificarsi svolte impreviste e improvvisi cambi di umore.

La risposta dal basso

C’è un post su Facebook ideato da quattro amici, all’origine del Movimento delle sardine che nel 2019 cambiò il clima della campagna elettorale per le elezioni regionali dell’Emilia Romagna.

Un’azione dal basso, caratterizzata da una buona dose di improvvisazione e forse velleitarismo, che ridiede coraggio, identità e forza a un elettorato disorientato di fronte al pericolo Salvini.

E impreviste evoluzioni nell’utilizzo e negli effetti della rete sono all’origine di movimenti di protesta di portata internazionale quali Occupy Wall Street negli Stati Uniti o degli Indignados in Spagna.

Partendo da un giudizio di totale insufficienza dell’aggregazione dell’offerta politica elaborata dai partiti del centrosinistra e dalla constatazione della sempre maggior labilità delle appartenenze e fedeltà elettorali, il Forum Disuguaglianze e Diversità  coordinato da Fabrizio Barca dopo aver analizzato i programmi dei partiti, ha suggerito di votare in base alle competenze e alla storia dei candidati, mettendo in secondo piano il voto di lista e di coalizione.

Una interessante forma di desistenza basata sul merito, che difficilmente può essere praticata da porzioni dell’elettorato tali da incidere sull’esito delle elezioni. Più praticabile sembrerebbe invece la proposta di una desistenza popolare, basata su una semplice domanda da rivolgere a quegli elettori dell’area progressista non ancora rassegnati alla sconfitta.

«Al fine di invertire il corso della campagna elettorale e battere il centrodestra alle elezioni, aderiresti a una proposta di desistenza popolare che, rispettando a livello nazionale le percentuali attribuite alla coalizione dei Progressisti e Democratici e al Movimento Cinquestelle, proponga di far confluire alternativamente i voti su uno dei due a seconda della regione in cui si vota?».

Una convergenza mirata a contendere al centrodestra molti dei seggi uninominali e a diventare competitivi anche nella quota proporzionale, alla quale si possono opporre dubbi e distinguo, alcuni dei quali legittimi. L’alternativa però è nota.

Le speranze e la possibilità di evitare un “25 settembre del centrosinistra” potrebbe dipendere dalla risposta che, al di là delle specifiche posizioni e appartenenze politiche, gli elettori che si riconoscono nel fronte progressista sono disposti dare a questa domanda.

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