Da sabato scorso, 10 settembre, la legge vieta la pubblicazione di sondaggi elettorali. Gli ultimi hanno registrato un vantaggio della destra al punto da indurre parecchi a considerare l’esito del voto sostanzialmente scontato. Non vi sarebbe alcuna incertezza su chi vincerà, al più toccherebbe misurare la distanza del consenso tra Giorgia Meloni, nettamente favorita, e il Partito democratico intento a rincorrere.

Ora, anche assumendo la tendenza che vede un travaso di schede dalla Lega a Fratelli d’Italia, l’esito di queste urne è davvero così ipotecato? Siccome ai sondaggi di adesso non si può fare cenno, per azzardare una risposta guardiamo a quelli di stagioni e campagne passate, anche se tutte alquanto prossime a noi.

Le previsioni erronee

Former President Bill Clinton applauds as his wife, Democratic presidential candidate Hillary Clinton speaks in New York, Wednesday, Nov. 9, 2016, where she conceded her defeat to Republican Donald Trump after the hard-fought presidential election. President Trump and his allies are harking back to his own transition four years ago to make a false argument that his own presidency was denied a fair chance for a clean launch. Press secretary Kayleigh McEnany laid out the case from the White House podium last week and the same idea has been floated by Trump's personal lawyer and his former director of national intelligence. The day after her defeat in 2016, Hillary Clinton conceded. (AP Photo/Matt Rourke)

Bene, alle presidenziali americane del novembre 2016 le principali rilevazioni preannunciavano con ragionevole certezza il trionfo di Hillary Clinton. Le cose, vorrei dire purtroppo, andarono in modo diverso e alla Casa Bianca sbarcò quel marziano di Donald Trump, per molti il peggiore presidente nella storia degli Stati Uniti.

L’anno era lo stesso e sull’altra sponda atlantica furono i sondaggisti britannici a mancare il bersaglio con la previsione di un successo del “remain” nella Brexit mentre a festeggiare furono i falchi del “leave” con tanti saluti all’azzardo del premier David Cameron. Passando in casa nostra nessuno aveva presunto l’affluenza al voto e un distacco così marcato tra il no e il sì nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 (davvero per i sondaggisti un annus horribilis!), per tacere delle regionali pugliesi del 2020 dove Michele Emiliano era dato in equilibrio coi suoi competitor e alla fine prevalse di otto punti.

Volendo scomodare i Cinque stelle, si può dire siano tra i più attrezzati a sviare le previsioni. Se nel 2013 erano stimati terza forza e si issarono di fatto al primo posto (il Pd ottenne un generoso premio di seggi grazie al voto degli italiani all’estero), alle europee del 2019 si sono ritrovati con oltre il cinque per cento in meno rispetto alle simulazioni della vigilia. Da ultimo merita citare il guanto di sfida lanciato da Forza Italia a Salvini nel 2018. Era l’impegno a riconoscere capo dello schieramento il leader con più consensi, e pure allora per il Cavaliere la mossa si tradusse in un brusco risveglio.

Due morali

La morale? Per la verità non ce n’è una soltanto, ma due. La prima suggerisce di non ipotecare anzitempo finali scritti e che in occasioni diverse hanno riservato imprevisti e qualche sorpresa. L’altra investe la campagna elettorale per come si dipana nel mese, poco più, che scorta schieramenti, simboli e leadership a misurarsi con la sfida che deciderà del dopo.

Perché è del tutto evidente che la pubblicazione sino a due settimane dall’apertura delle urne di previsioni potenzialmente erronee, spesso in misura non banale, rischia comunque di condizionare il clima dell’intera competizione e allora, valga almeno per il futuro prossimo, è sinceramente incomprensibile nonché irrazionale quel divieto a fotografare l’evolversi degli orientamenti nella fase più intensa, gli ultimi quindici giorni della campagna, quando, e gli studi sui flussi lo confermano, si determina il massimo spostamento di consensi da una parte all’altra.

Si dirà, che senso ha questo discorso nel cuore di una sfida aperta? Beh, in fondo un senso ce l’ha, almeno quello di ritenere che non si sia già votato come da più parti parrebbe, ma che lo si debba ancora fare. Insomma, voi vi fidereste di quello che in coda al botteghino del cinema, e senza aver visto il film, volesse convincervi che la pellicola finisce male al punto da non meritare neppure l’esborso del biglietto? Con grande educazione il minimo che potreste fare sarebbe dirgli che acquistato il posto preferite di gran lunga entrare in sala e quanto al finale sincerarvene da voi. Solo questo. Per il resto riparliamone il 26!

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