Si è scatenata una bufera sulla visita a Mosca dell’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell. Il fatto che siano stati espulsi tre diplomatici europei durante l’incontro con le autorità russe, è stato preso a Bruxelles come un’umiliazione intollerabile e numerosi membri del parlamento europeo ora chiedono le dimissioni dello spagnolo. Una petizione in questo senso proposta dal parlamentare popolare estone Terras è stata firmata da almeno 81 colleghi, tanto che la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen si è sentita in dovere di intervenire a difesa del proprio vicepresidente. 

La visita

Se guardiamo le cose da vicino la visita è andata come doveva andare: fredda e discordante. Borrel si è visto con il ministro degli Esteri Lavrov, ha utilizzato (e poi subìto) parole di inusuale durezza per un incontro diplomatico, non ha ottenuto nessun apparente risultato. Con a tema la liberazione di Navalny e i diritti violati dell’opposizione, tutto ciò era prevedibile e ampiamente previsto.

C’è stata da parte di Borrell troppa spavalderia nell'accettare di fare la conferenza stampa congiunta con Lavrov, uno dei pesi massimi della diplomazia mondiale dalla leggendaria abilità. In questi casi si deve essere prudenti, conoscere i propri limiti e al massimo contentarsi di una dichiarazione scritta congiunta oppure meglio non fare nulla.

 Tuttavia l’aspetto politico che va sottolineato è perché, considerate le posizioni consolidate, l’incontro non sia stato cancellato da nessuna delle due parti, nemmeno da parte russa. La relazione Russia-Europa (con le sue subordinate Russia-Germania, Russia-Francia e Russia-Italia) è strategica per entrambi i versanti e dovrà essere una delle priorità della politica estera del governo Draghi.

L’Europa serve a Mosca come punto di equilibrio tra Washington e Pechino. Dopo la fase eltsiniana e oligarchica percepita dai russi come un’umiliazione, con Putin la Russia ha ritrovato parte del sua fierezza e indipendenza economica.

La riorganizzazione della “verticale del potere” (il sistema centralizzato russo), e l’utilizzo della risorsa energetica, sono state le due leve che il leader russo ha utilizzato per riaffermare la potenza strategica russa, a cui si aggiunge la qualità del comparto militare.

Di conseguenza Mosca ha potuto rimettersi a difendere il suo spazio di influenza globale (Ucraina, Siria, Caucaso ecc) e talvolta anche allagarlo (Libia, Africa ecc.). Ma Mosca non ha abbastanza risorse finanziarie ed economiche per tornare in testa: sono ormai solo Washington e Pechino a battersi per la leadership globale.

Il pragmatismo russo

Per questo esiste anche un pragmatismo russo interessato all'Europa. Paradossalmente anche l’Europa ha il medesimo problema, aggravato dal “pivot to Asia” di Obama, proseguito da Trump e che Biden non potrà cambiare del tutto. La differenza è che mentre Mosca rimane sospesa fra due universi, l’Europa mantiene la sua preferenza atlantica per motivi storici, politici e culturali. In tale diversità è la liberal-democrazia a dividerci. Putin ha sperato varie volte di poter allacciare con l’Europa una nuova relazione strategica paritaria, e continua a farlo come nel caso del sodalizio coi tedeschi per il NordStream 2, inviso agli americani. Ai russi non può bastare una relazione europea di “secondo grado”, ancillare a quella atlantica, ma è proprio ciò che gli europei offrono.

La crisi ucraina nasce da tale divergente prospettiva. Mosca deve comprendere che l’Europa rimarrà sempre atlantica malgrado le volubilità americane. Allo stesso tempo l’Europa deve capire che Mosca aspira a molto di più. Più che dai principi e valori si può provare a partire da una svolta strategica (un linguaggio che i russi capiscono meglio): un nuovo pensiero delle relazioni tra i due mondi che unifichi le visioni a lungo termine. Alla fine se ne gioverebbero anche i diritti umani.

Il possibile ruolo di Draghi

L’unica via è provare a sciogliere il rapporto Washington-Mosca (oggi molto teso, vedi i bombardieri strategici Usa posizionati da poco nei paesi baltici) mediante l’apporto europeo: non è interesse dell’Europa che le relazioni Usa-Russia peggiorino.

In altre parole serve una nuova Helsinki con l’obiettivo di portare ad un rinnovato equilibrio delle forze ed influenze, anche sulla base di una condivisione di principi e valori. Se ciò fu possibile nel 1975 in nome della distensione e provocò una certa evoluzione sui diritti umani anche nello spazio sovietico, perché non dovrebbe esserlo ora?

Tutto lascia pensare che Mosca non consideri la sua relazione con Pechino come un’alternativa valida a lungo termine: è consapevole che anche in questo caso finirebbe in un nesso di dipendenza. Perché dunque favorire tale deriva?

Tutta l’Asia centrale è sotto pressione, con Pechino che ha scalzato Mosca come primo partner commerciale mentre l’estremo oriente russo è denso di migranti cinesi. La crisi demografica russa pesa molto su tali evoluzioni. Senza rinunciare ai propri principi, l’Europa dovrebbe lavorare ad una nuova relazione con la Russia e Mario Draghi ha certamente l’autorità necessaria per impostarla.  

© Riproduzione riservata