Il cambiamento culturale arriverà quando nessun uomo si difenderà più dicendo «era solo una goliardata» quando commette una violenza piccola o grande, fisica o psicologica, contro una donna.

Invece «era solo una goliardata» sono le parole usate dal tifoso della Fiorentina individuato dopo aver palpeggiato una giornalista in diretta televisiva, Greta Beccaglia, fuori dallo stadio di Empoli.

Sono le parole sentite tante volte da tutte noi e vengono pronunciate da uomini che non capiscono, o forse non vogliono ammettere. Quindi, anche se si interrogano sul perché del loro comportamento, non sanno rispondere se non autoassolvendosi. «Era solo una goliardata».

Il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è stata l’occasione per denunciare che in Italia si commette un femminicidio ogni tre giorni e che il 31,9 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Ma è anche la giornata in cui, denunciandola pubblicamente, ci si libera della vergogna introiettata in ogni donna che subisce violenza.

Lo ha fatto sulla Stampa la filosofa e accademica Michela Marzano con un editoriale dal titolo “Quando mio marito mi diede il primo schiaffo”, rompendo il pregiudizio secondo il quale a subire violenza siano prevalentemente donne di basso livello culturale o ceto sociale.

Qualcosa cambierà quando, il 25 novembre, sarà un uomo a riconoscere di avere anche involontariamente – per «una goliardata» – esercitato violenza o molestia su una donna. Ancora nessuno ha avuto questo coraggio. Non solo, le statistiche pubblicate quest’anno da Astraricerche in collaborazione con la rete antiviolenza del comune di Milano dicono che il 40 per cento degli uomini non considera violenza dare uno schiaffo alla partner se ha flirtrato con un altro.

Il 30 per cento ritiene che non sia una forma di violenza dire che un abuso fisico subito da una donna è meno grave se gli atteggiamenti di lei, il suo abbigliamento o aspetto, comunicavano che era disponibile. Statisticamente, quindi, un uomo su tre considera accettabile una forma di violenza fisica o verbale nei confronti di una donna.

Quanti uomini sono in grado di ammettere di avere esercitato almeno una volta nella vita quella che, anche se loro non la considerano tale, è una violenza? Invece è più facile derubricare i gesti a puro istinto, innocente per antonomasia. 

Il vero passo avanti sarà quando gli uomini inizieranno a interrogarsi sui loro comportamenti e a provare a spiegarli in modo razionale.

Ammettere di aver molestato o messo a disagio, più o meno consapevolmente, una donna significa mettere anche a fuoco il pregiudizio sociale e culturale che ha portato a quel comportamento. Ma soprattutto spezza l’illusione che le violenze sulle donne – di qualsiasi tipo e intensità siano – vengano esercitate sempre da altri.

Solo quando ogni uomo maturerà questa consapevolezza si interromperà la coazione a ripetere di gesti violenti o molesti.

Il tifoso della Fiorentina si è difeso parlando dell’amore per la figlia e la compagna, del suo essere un gran lavoratore. «Non sono questa persona cattiva», ha detto.

Un gesto non è certamente la misura definitiva di una persona e il clamore mediatico appiattisce ogni cosa. Ma un gesto qualifica. E una molestia fisica a una donna che sta lavorando non si cancella perché contemporaneamente si è anche bravi genitori, compagni o lavoratori.

Anzi, proprio descrivendosi così, l’alibi della «goliardata», che dovrebbe essere una aggravante più che una attenuante, non regge. Interrogarsi in prima persona sulle ragioni dei propri gesti, anche involontari, aggiungerebbe al dibattito la voce dei “molestatori”, speriamo pentiti. Quelli che credono di essere dalla parte giusta e che gli abusi li compia sempre qualcun altro. Fino a quando non si ritrovano a giustificarsi, dicendo che «era una goliardata».

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