Lo sbarco in Grecia dopo il sequestro a bordo della Global Sumud Flotilla ci ha ricordato uno dei paradossi più vitali e insoliti della figura di Greta Thunberg: più i media e i politici sono ossessionati da lei, dalla sua immagine, dal suo corpo, dalle sue scelte, dalle sue imprese, più lei ricorda agli stessi media e agli stessi politici che non è lei il punto, che non deve essere lei la storia, il tema o il personaggio centrale della narrazione. Nemmeno gli abusi della carcerazione israeliana hanno piegato questo suo metodo, che ci ricorda qualcosa che avevamo dimenticato o che semplicemente non avevamo mai creduto possibile: è possibile stare in vista nel mondo ma senza ego, essere ambiziosi sulle battaglie senza mai farne una questione personale. Più le dicono «tu», più lei risponde «noi».

La Global Sumud Flotilla è stata una delle imprese politiche dei nostri tempi, comunque vada, ma c'era qualcosa di scivoloso nel rapporto tra gli attivisti e la popolazione a Gaza: farne il viaggio dell'eroe occidentale, la saga dei quattrocento salvatori bianchi, la cavalleria marittima. La comunicazione politica della flotta in questo è stata esemplare, ma nessuno aveva la forza di dirlo con tanta chiarezza quanto Greta Thunberg, proprio per la sua esposizione mediatica, per l'eco che hanno le sue parole. Nella concitata conferenza stampa ad Atene, Thunberg quasi sorride quando sente la parola «eroi», e poi dice la cosa più umana e importante: «Questo non eroismo, questo è il minimo sindacale».

Ovviamente c'è una forma di umiltà performativa nel definire l'essersi consegnati all'Idf e ai suoi abusi dopo un mese per mare su una barchetta (nel suo caso per la seconda volta) come minimo sindacale, perché non lo è affatto; la Flotilla non era affatto il minimo sindacale, ma è comunque importante e utile che lei lo dica, che lo urli, perché Thunberg conosce i media che ha di fronte e perché fa parte della sua strategia comunicativa, fin da quando era la ragazzina del clima.

Greta Thunberg ha sempre fatto questo: usare la morbosa ossessione nei suoi confronti come una cassa di risonanza per amplificare il messaggio delle sue azioni, che fossero contro l'industria petrolifera o per denunciare un genocidio. La parola più importante del suo breve discorso è ascolto. «Azione e ascolto», per ribadire che «nessuno qui è venuto a salvare i palestinesi». In queste parole si vede quanta strada ha fatto lei e quanta ne ha fatta la generazione che si è riconosciuta nella sua sensibilità.

La Flotilla è finalmente riuscita ad andare oltre l'intersezionalità dichiarata, a farne una pratica, a non doversi nemmeno più definire intersezionale, perché la missione era pacifista, decoloniale, ecologista nella sua natura più profonda. Solo fatti, niente etichette. Ed è la risposta più ovvia a chi si chiede perché Greta Thunberg non si occupa più di clima: Greta Thunberg si occupa ancora di clima. C'era il cambiamento climatico anche nell'orizzonte della Flotilla: se non riusciamo a fermare il genocidio, l'azione per il clima non ha semplicemente più senso di esistere. Possiamo prendere sul serio la scala del dolore futuro solo se prendiamo sul serio la scala del dolore presente.

C'è un'ultima cosa da dire: più che mai, Greta Thunberg ha smesso di essere un punto di riferimento generazionale, in grado di parlare solo agli adolescenti e ai ventenni. Il magnetismo della sua integrità in queste due missioni via mare verso Gaza ha sfondato i confini dell'età. C'è una parte dell'Occidente che ha tolto ogni freno al suo odio, ogni pudore, ogni remora, ma ce n'è un'altra che sta rispondendo con un affetto e un senso di riconoscimento completamente inediti. La Greta Thunberg sedicenne del 2019 aveva l'aura innocua di una madonna e così veniva trattata, anche da chi la ascoltava con sincerità, una via di mezzo tra una santa e un'aliena.

La Greta Thunberg ventenne ha il carisma incendiario di una leader politica che riesce a tenere tutti i pezzi del discorso globale insieme, a farne azione, a mettersi in pericolo, a non farne una questione personale, ad avere lo sguardo lungo senza mai dimenticare le urgenze del presente, la morte la fame le bombe. È vero che lei non ha mai voluto essere leader di nessun movimento, ma è anche vero che di leader con la sua capacità il movimento per la giustizia sociale non ne ha e non ne avrà. Finora il suo percorso è sempre stato logico, se visto a posteriori, ma anche imprevedibile e difficile da anticipare. Quindi non tenterò questo azzardo: ma a ventidue anni e con tutte queste battaglie alle spalle, non è impossibile pensare che presto possa passare da leader riluttante a leader e basta.

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