Beppe Grillo non ha affatto torto quando chiede ai talk show di non truccare la percezione del dibattito, al fine, in sostanza, di imbrogliare l’ascoltatore. I conduttori, invoca, hanno il dovere di non corteggiare l’urlo e la caciara, la regia non deve farsi cogliere a barare con inquadrature devianti e truffaldine (l’altro che sbuffa, il tacco in primo piano, lo stacco della coscia per dare all’occhio la sua parte). Porre le domande, sì, ma evitando di fregarsi le mani per le interruzioni che accrescono il tasso di rumore e, forse, di spettacolo.

Il format delineato da Grillo esclude i fuochi d’artificio, a intervento concluso chi vuole controbatte e nessuno viene privato della replica. Buon senso, dice Grillo, e buona educazione.

Non fa una piega, e diremmo che fra tutti i paletti che lui indica, ben prima del divieto d’interrompere vengano quelli posti alla regia. Quando era possibile giocare con i protagonisti in studio la situazione era perfino peggiore perché al regista furbetto era possibile giocare coi dettagli. Da quando il Covid ha vuotato lo studio e si va avanti coi collegamenti dalle case, la fabbrica della confusione si ottiene con la multi-inquadratura che accosta in simultanea le facce collegate col risultato che mentre Tizio parla, Caio e Mevio facciano le smorfie. Ognuno s’ingegna in questo modo a sabotare l’altrui ragionamento e a trarne profitto non è questo o quel partito, ma il disprezzo dello spettatore che vede nella politica un pollaio.

Per garantire l’attuazione del bene educato format Grillo sarebbe ovviamente necessario costringere i conduttori ad essere severi senza il timore di irritare l’ospite disturbatore, pensando a Sgarbi e ai suoi tanti cloni, che con la caciara garantiscono gli ascolti. Per quanto possiamo immaginare nessuno dei conduttori se la sentirà di correre il rischio e dunque è necessario che l’azienda glielo ordini definendo in modo preciso le regole d’ingaggio, consentendo di chiudere gli audio e di escludere dalle inquadrature chi disturba anziché valorizzarlo per offrire frammenti alla diffusione sulla rete social.

La questione posta da Grillo viene da lontano e a memoria nostra la collegheremmo a quando in Forza Italia si decise di inviare nelle trasmissioni ostili, come quelle di Santoro, un signore, che all’inizio fu un tale Elio Vito, con la specifica funzione di rompere le scatole. A lui riusciva perfettamente grazie alla tigna temprata nei dibattiti dentro il Partito radicale. Oggi molti altri si sono scaltriti e sanno benissimo emularlo. Al punto che la capacità di farsi troll dentro un dibattito sembra una delle materie fondamentali studiate e meditate dalla mezza tacca politica in carriera. Per amore di completezza va anche aggiunto che l’interdetto al dibattito taroccato segnerebbe la crisi di buona parte della tv da pianerottolo che costa quattro soldi e consente di intasare molteplici canali.

A questo magari Grillo dovrebbe farci un pensierino e provare a immaginare quei tocchi di riforma, della Rai e del restante quadro, che basterebbero a portare la tv di casa nostra a prendere esempio da quelle, pubbliche e private, di Francia, Germania ed Inghilterra. Purché comprenda che gli strilli nella nostra tv non sono esplosioni di vivacità, ma solo rantoli. Volendo riscattare la tv italiana da quaranta anni di stato eccezionale (e micidiale) le occasioni si approssimano a bizzeffe: il Cda Rai che scade, il Testo unico redatto da Gasparri da rifare perché l’Europa gli ha rotto le uova nel paniere, le scelte che urgono riguardo alla Rete unica e al superamento in prospettiva della tv terrestre. Grillo, una volta che si è salvato l’anima dicendo la propria sul dibattito, potrebbe immaginare qualche dritta per trasformare in vita l’agonia attuale.

 

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