La scelta tra togliere a Vladimir Putin le risorse per finanziare la guerra in Italia oppure proteggere il nostro benessere adesso è chiara: la differenza vale 3,5 punti di Pil, circa 65 miliardi di euro. La stima è della Banca d’Italia e finalmente permettere di associare qualche numero macroeconomico alla sintesi un po’ drastica fatta dal premier Mario Draghi nella sua conferenza stampa («preferite la pace o i condizionatori accesi d’estate?»).

Nel suo Bollettino economico mensile, la Banca d’Italia guidata da Ignazio Visco delinea tre scenari. Il primo, che a oggi pare piuttosto fantascientifico, è quello di una “rapida risoluzione del conflitto e un significativo ridimensionamento delle tensioni associate ad esso”, si immagina dopo una resa dell’Ucraina o comunque un accordo con Putin. In questo scenario ottimistico, la crescita del Pil dell’Italia nel 2022 sarebbe del 3 per cento e idem nel 2023, con un’inflazione sotto controllo, al 2 per cento nel 2022 e 1,8 nel 2023.

Lo scenario intermedio è quello che prevede la prosecuzione delle ostilità, questo è lo status quo prezzato oggi dai mercati finanziari, cioè si prende la situazione di oggi e si proietta in avanti. In questo contesto, il Pil dell’Italia salirebbe del 2,2 per cento nel 2022 e dell’1,8 nel 2023 con un’inflazione del 5,6 per cento quest’anno e del 2,2 il prossimo.

Il terzo scenario è quello di una reazione drastica contro Putin da parte dell’Italia (ma, come ha già chiarito Draghi, soltanto di concerto con gli altri paesi Ue): embargo al gas russo, che quindi smetterebbe di arrivare, soltanto una parziale sostituzione con altri paesi fornitori, prezzi dell’energia che crescono a dismisura e mancanza di gas per il 10 per cento del consumo attuale. Così ci sarebbe un calo del Pil dello 0,5 per cento nel 2022 e nel 2023, una piccola recessione, combinata con un’inflazione dell’8 per cento nel 2022 che dopo il picco tornerebbe a livelli accettabili nel 2023, al 2,3 per cento.

«Nell’attuale contesto di fortissima incertezza non si possono escludere scenari ancora più sfavorevoli. Le conseguenze del conflitto sull’economia italiana dipenderanno anche in misura rilevante dalle politiche economiche che potranno essere adottate per contrastare le spinte recessive e frenare le pressioni sui prezzi», avverte la Banca d’Italia.

Una frase sibillina che si presta a molteplici interpretazioni. Primo: le cose potrebbero andare molto peggio anche sul fronte bellico, c’è sempre un rischio latente di conflitto nucleare che nessuno osa ancora incorporare esplicitamente nelle previsioni macroeconomiche. Anche prevedere gli effetti di medio termine di una tregua è difficile, visto che non è chiaro se l’Ue e gli Stati Uniti siano disposti a ridurre le sanzioni in caso di aperture di Putin o se invece vogliano mantenerle fino a quando il presidente russo resterà al potere.

Le alternative 

Le cose però potrebbero anche andare molto meglio del previsto se l’embargo energetico portasse alla fine del conflitto, o per la caduta di Putin o per un compromesso più favorevole a Ue e ucraini. Le politiche economiche da adottare possono essere nazionali, ma anche europee: per una volta l’Italia si trova dalla stessa parte della Germania, l’unico altro paese così esposto alla dipendenza energetica dalla Russia, e Berlino ha appena annunciato un pacchetto da 100 miliardi di euro di prestiti a breve termine con la Kfw (la sua Cassa depositi e prestiti) a sostegno delle imprese colpite dagli aumenti dei prezzi di gas e petrolio. Anche la Germania perderebbe circa tre punti di Pil in caso di uno stop al gas russo non pienamente compensato da altre forniture.

Storicamente, la Germania ha sempre fatto resistenza alle misure di sostegno europee a meno che non le permettessero di far pagare all’Ue interventi che altrimenti avrebbe dovuto sostenere col bilancio nazionale. E questo pare essere uno di quei casi. Con un embargo energetico europeo, Draghi ma anche il presidente francese Emmanuel Macron troverebbero nuovi argomenti per replicare e forse rendere permanente il meccanismo di risposta alle crisi sperimentato durante il Covid con il Recovery Plan e Next Generation Eu (750 miliardi di somme a fondo perduto e in prestito agli stati membri).

Banca d’Italia ricorda che il 43 per cento del gas naturale importato dall’Italia è usato a fini produttivi, cioè dall’industria, il 31 per cento per la generazione di elettricità, e il 24 per usi domestici. Spegnere i condizionatori non basterebbe, forse, ma ora abbiamo dei numeri per scegliere a quanto benessere siamo disposti a rinunciare per smetterla di finanziare Putin.

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