Pare che i soldati russi fuggitivi uccidano ciclisti e pedoni di passaggio temendo che con lo smartphone li localizzino a bersaglio. Vero o falso, nel racconto si esprime la potenza della “connessione permanente”, che cambia le regole di guerra rendendo ogni persona nodo di una rete di cannoni, missili, droni, satelliti, e intelligenze artificiali.

Sarebbe dunque la rete, più di laghi, steppe e boschi d’Ucraina, a ingoiare le truppe russe come fece la giungla del Vietnam con quelle americane. Ma perché la “connessione permanente” è per gli ucraini un’arma mentre per i russi è una condanna?

Michele Mezza, nel suo Net-War fresco di stampa, cerca la risposta nel retaggio sociale e statuale dei popoli in conflitto. Da un lato l’Ucraina, mondo “orizzontale”, col governo destinato ad arbitraggi senza fine fra poteri di fatto sia etnico-linguistici (ungheresi, polacchi, rumeni e russi, sponsorizzati dalle “heimat” -patrie originarie- confinanti) sia economici (oligarchi e agricoltori, tassisti e balneari, cenacoli intellettuali e minatori del carbone).

In quest’intrico di potenze il cittadino ucraino cresce imparando a “navigare” per trovare volta a volta quel che gli conviene, e così adotta una forma mentis “connettiva”, pronta anche alla battaglia con l’arma della rete.

Al lato opposto la Russia zarista-comunista-putiniana, è tutta “verticale” perché fondata non sugli incroci di informazioni, ma sul comando e l’obbedienza che fungono da briglie dell’impero. Con la conseguenza che i cittadini sono allenati a percepire l’aria che spira al vertice e ad attenderne i comandi da ossequiare o trasgredire, ma non cavalcano la rete come protesi di iniziativa e di potere.  

Ecco perché i “Golia verticali” perdono il confronto con i “Davide orizzontali” armati della fionda della rete. E non solo all’arrivo su un campo di battaglia, ma anche nella competizione e negli assetti delle imprese.

Orizzontali, verticali e noi

La sfida epocale fra verticale e orizzontale non è nuova e ci ha regalato un personale scoop della memoria. Eravamo a fine ’68, l’anno dell’offensiva del Tet in Vietnam, del Maggio parigino, delle uccisioni di Luther King e Bob Kennedy nonché, per colmare la misura, dell’operazione militare dell’Urss e satelliti contro la Primavera di Praga contro la quale il Pci espresse al volo un «grave dissenso», tutt’altro che scontato dati i nessi politici e finanziari ultra decennali.

Con quel dissenso iniziava a rompersi un legame, ma restava da capire se quell’invasione fosse un “errore” o un “risultato” intrinseco al socialismo in salsa russo-burocratica. Il dilemma fu sciolto da Emilio Sereni, direttore di Critica marxista (la rivista culturale di punta del Pci) ricorrendo al parametro della “cibernetica” che oggi tutti sanno riguardare il funzionamento pc e smartphone, ma che allora era vocabolo inconsueto e misterioso.

La attitudine cibernetica era assente in Urss, questa la tesi, perché la patria del “socialismo realizzato” si basava non sullo scambio informativo ma su automatismi “meccanici” che per funzionare senza fallo soffocavano la comunicazione sociale e le sue naturali complicanze. Ma con l’effetto di rinchiudere anche i potenti in stanze prive di finestre sull’esterno e di renderli incapaci di percepire lo stato reale delle cose.

A quei tempi solo il lettore più avvertito capiva che quell’analisi non concedeva scampo all’Urss rispetto agli imprevisti sociali e tecnologici futuri, perché era fatta per respingerli e non per assorbirli. E l’esperienza successiva ha confermato che per contro le società organicamente frastagliate hanno trovato nella rete il dono tecnologico che incolla ogni frammento senza diminuirne la reattività e resilienza.

L’Italia d’oggi, in questo quadro, si mostra un po’ Ucraina orizzontale e un po’ Russia verticale, giacché la frammentazione non ci manca e neppure l’auto referenza burocratica. Tutto sta a vedere se la prima riuscirà a farsi centro con la rete o se la seconda potrà usare anche la rete per impacciare il potenziale della prima.

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