I giovani sono tornati. A farsi vedere e sentire. Erano scomparsi dalla sfera pubblica e dall’immaginario collettivo. Non certo dalla sfera privata e famigliare, perché “per i figli si fa tutto”. Certo, anche lì l’assottigliamento della gioventù si nota poiché i ragazzi scarseggiano. A causa del declino demografico e dell’invecchiamento della popolazione, l’Italia giovane si assottiglia. Siamo, infatti, all’ultimo posto in Europa per la quota di popolazione sotto i 35 anni: appena il 34 per cento, mentre la media europea è del 37,5 per cento e in Francia si raggiunge il 41 per cento.

Se gli under 35 scemano, la gioventù, al contrario, si prolunga. Il superamento delle soglie che conducono alla piena assunzione dei ruoli adulti si sposta in avanti. Per dare solo un’idea, i giovani svedesi lasciano la casa dei genitori a 19 anni. I tedeschi e i francesi a 23,6. La media europea è 26,5. In Italia si va a vivere da soli a 29,9. Non è però questione di essere mammoni o troppo choosy. È che diventare adulti in un paese come l’Italia è più difficile che altrove.

L’Istat, recentemente, ha certificato il disagio dei giovani. La loro vulnerabilità sociale e le difficoltà che incontrano nel realizzare le loro opportunità di vita, specie dopo la pandemia: sono infatti ben 4,8 milioni quelli che risultano deprivati, cioè non raggiungono la soglia necessaria in una o più dimensioni del benessere equo e sostenibile.

Oltre 20 anni fa, Ilvo Diamanti parlava della invisibilità dei giovani (La generazione invisibile, Il Sole 24 Ore, 1999). Non tanto e non solo perché erano sempre meno, ma anche per una certa mancanza di “distintività” sociale: sembravano addomesticati. A giudicare dai contributi pubblicati sull’ultimo numero della rivista Il Mulino (“La giovane Italia”, a cura di Sonia Bertolini e Francesco Ramella) oggi la situazione è decisamente cambiata.

Seppure con molte differenze legate ai luoghi, al genere e alla condizione sociale, i giovani sono decisamente diversi dai loro genitori e dai loro nonni. Poiché l’accelerazione del mutamento sociale ha inevitabilmente aumentato lo scarto tra le generazioni. Basti pensare ai loro atteggiamenti verso il lavoro, i consumi, i social, la famiglia, la spiritualità, l’identità di genere, l’ambiente, la politica, e molto altro ancora. Anche la loro partecipazione pubblica sta crescendo.

Una nuova generazione

Gli under 35 rappresentano una nuova generazione, che possiede precisi tratti distintivi. Sono nati e cresciuti dopo il crollo del Muro di Berlino. Hanno vissuto l’adolescenza nell’ambito di una rivoluzione tecnologica che li ha dotati di nuovi strumenti di informazione, comunicazione e interazione. È con riferimento a loro che è stato coniato il termine “i-generation”. Il loro futuro, inoltre, è diventato radicalmente incerto. E questo tratto li caratterizza, poiché vivono in una epoca di policrisi.

Questo termine – coniato da Edgar Morin e ripreso recentemente dallo storico britannico Adam Tooze – indica non solo la coesistenza di una pluralità di crisi, ma anche la loro amplificazione reciproca, e risulta particolarmente appropriato per connotare il contesto in cui i giovani italiani diventano adulti. Tutti loro, infatti, hanno raggiunto la maggiore età negli anni successivi alla Grande recessione del 2008, sperimentando, insieme al declino economico, una forte precarizzazione del mercato del lavoro. Hanno sofferto in prima persona le conseguenze della pandemia e il ritorno della guerra nel continente europeo. Vivono, inoltre, una drastica accelerazione della crisi climatica e ne portano un’acuta coscienza generazionale.

Certo, molte delle dinamiche che svantaggiano i giovani sono presenti anche altrove. Tuttavia, l’entità di questi fenomeni, in Italia, configura una peculiare asimmetria nel loro riconoscimento sociale: alla loro “valorizzazione” nella sfera privata, corrisponde una drammatica “svalorizzazione” nella dimensione pubblica.

È questa asimmetria che lascia pensare che, nel nostro paese, il Giano bifronte del rapporto tra le generazioni abbia perso una delle due facce, quella che guarda in avanti. Per far ripartire l’Italia, dobbiamo recuperare la capacità di pensare al futuro, immaginando le nuove generazioni come il motore possibile per uno sviluppo diverso e di qualità. Una sfida formidabile. A cui però l’Europa ha destinato fondi straordinari, finalizzando il piano di ripresa dalla pandemia proprio a costruire la Next Generation Eu. Ma, perché ciò diventi possibile anche in Italia, è indispensabile che i giovani si facciano sentire con forza.

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