Con perizia gesuitica, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha temperato un discorso di andamento tecnocratico con riferimenti curvati per intercettare la sensibilità cattolica, dunque rivolti alle gerarchie vaticane, con le quali anche i meno attrezzati che sono passati da palazzo Chigi sanno di dover dialogare. E figurarsi i più attrezzati.
Svetta, naturalmente, la citazione dell’Altissimo, che ha fatto la sua comparsa in aula per tramite di papa Francesco, nella sua versione di paladino dell’ambiente, meglio noto Oltretevere come “creato”:
«Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore».

L’affiorare dell’elemento religioso nel contesto istituzionale non è una novità assoluta – meno di due anni fa un presidente del Consiglio con il santino di San Pio in tasca rimproverava a Matteo Salvini l’uso politico del rosario, e Matteo Renzi, prima di passare al Corano, citava il Vangelo – ma è stato un momento “God Bless Italy” che incidentalmente quadra con l’arrivo alla Casa Bianca del secondo presidente cattolico della storia americana, uno che cita Sant’Agostino nel discorso inaugurale, portando la questione un passo oltre il ricorso convenzionale alla religione civile americana.

Ha fatto discutere la scelta dell’aggettivo «farisaico», che è tuttavia un classico della predicazione di Francesco, che da anni castiga l’ipocrisia legalista, dentro e fuori dalla chiesa.

Un filologo attento potrebbe rintracciare perfino nella «sfida poliedrica» di cui ha parlato Draghi un riferimento al «poliedro» di cui il papa scrive nella Evangelii Gaudium, figura a molte facce che coniuga unità e diversità, in opposizione alla sterile completezza della sfera.

Si sentivano echi guzzettiani nelle citazioni della Caritas, del volontariato e del Terzo settore, snodi cruciali per tratteggiare un ponte fra i grandi meccanismi della politica monetaria e la dottrina sociale della chiesa, compito non semplice nemmeno per chi ha attentamente coltivato relazioni in quel senso, fra la nomina alla Pontificia accademia delle scienze sociali, la laurea honoris causa in Cattolica e il palco del Meeting di Rimini, dove a conti fatti ha delineato il quadro teorico che ieri ha trovato la sua prima applicazione politica.

Una fetta significativa della gerarchia ha sostenuto con decisione la formazione del Conte bis e ha lavorato in modo felpato, ma non per questo meno deciso, per agevolare le condizioni che avrebbero permesso la creazione anche del Conte ter; quando Sergio Mattarella ha annunciato l’incarico a Draghi il vento è sembrato d’improvviso cambiare, e si sono sprecate le osservazioni sulle consonanze fra il cattolico Draghi, educato dai gesuiti, e la visione sociale della chiesa così come è stata declinata da Francesco, papa programmaticamente (e biograficamente) privo di passioni atlantiste e attento agli ultimi, alle disuguaglianze, alla dignità umana e all’ambiente.

Una stoccata significativa è arrivata da Luigino Bruni, l’economista a cui il papa ha dato mandato di tracciare i principi della sua economia, che ha invitato a non santificare Draghi prima di vedere, alla prova dei fatti, quale sarà davvero la sua visione. Unica nota stonata rispetto alla sensibilità d’Oltretevere è la «irreversibilità dell’euro», e non certo perché la chiesa si occupi di politica monetaria; piuttosto è l’irreversibilità come categoria storica a cozzare con una visione che, sullo sfondo delle cose ultime, concepisce tutti i progetti umani, anche i migliori, come reversibili per definizione.

 

© Riproduzione riservata