Cinque persone, fra cui due donne e un bambino, risultano disperse da giovedì nel Mediterraneo. L’imbarcazione fatiscente su cui viaggiavano è naufragata a 30 miglia nautiche da Lampedusa e, quando un peschereccio è finalmente intervenuto in soccorso, per loro era già troppo tardi.

Non esistono parole che possano esprimere la nostra frustrazione e il nostro dolore di fronte alla perdita di queste vite umane che ci è stato impedito di salvare. Si, ci è stato impedito, dal momento che mentre questa tragedia si consumava, la nostra nave Sea-Watch 4, bloccata a Palermo da un fermo amministrativo, ha ricevuto una segnalazione da parte di Malta ma non ha potuto lasciare il porto.

Per queste tre vite e per quelle delle altre persone che sono annegate in un mare privato delle navi umanitarie di ricerca e soccorso, nell’indifferenza delle autorità, abbiamo deciso di opporci al provvedimento del governo italiano che impedisce a Sea-Watch 4 di riprendere la sua attività. Abbiamo depositato un ricorso amministrativo contro il fermo della nave che operiamo in partnership con Medici Senza Frontiere e grazie al sostegno dell’alleanza europea United4Rescue, che riunisce più di seicento organizzazioni della società civile.

Nonostante l’attività di ricerca e soccorso in mare svolta da Sea-Watch 4 sia voluta e supportata da tanti cittadini e cittadine italiani ed europei, la nave è bloccata nel porto di Palermo dall’inizio di settembre, dopo aver concluso la prima missione portando al sicuro 353 persone.

Al termine della quarantena sanitaria, imposta dalle autorità esclusivamente alle navi umanitarie, il nostro equipaggio ha accolto a bordo gli ispettori della guardia costiera, che hanno dedicato undici ore alla ricerca di pretesti per poter emettere un provvedimento di fermo, che ci è stato poi notificato.

Come ci aspettavamo, e analogamente a quanto avvenuto a luglio per l’altra nostra nave, Sea-Watch 3, che ottempera all’obbligo di fermo da parte del governo italiano nel porto spagnolo di Burriana, le motivazioni addotte a giustificazione di questa misura sono assurde e chiaramente pretestuose.

Tutte le contestazioni che ci vengono rivolte riguardano l’attività di «assistenza a migranti in mare», categoria giuridica che di fatto non esiste nel diritto della navigazione. Se le persone da noi soccorse non fossero migranti, le stesse presunte irregolarità non verrebbero contestate. Per questo non possiamo che pensare che alla base del fermo della nostra nave vi siano, anche in questo caso, delle considerazioni di natura politica più che legale.

La principale di queste contestazioni, per esempio, riguarda il fatto che Sea-Watch 4 ha trasportato un numero di persone superiore rispetto a quelle per cui la nave è certificata. È un’accusa assurda, se si pensa che le persone che abbiamo portato a bordo erano state salvate nell’ambito di operazioni di emergenza, è un obbligo di diritto internazionale soccorrere chiunque si trovi in pericolo in mare. Con il ricorso abbiamo intrapreso un cammino legale per la liberazione di Sea-Watch 4, ma abbiamo intenzione di usare tutti gli strumenti che la legge mette a disposizione anche per fare chiarezza sui provvedimenti che hanno colpito anche la Sea-Watch 3 e il nostro aereo Moonbird, a cui è stato impedito per oltre un mese di effettuare missioni.

Da marzo a oggi il governo italiano ha bloccato sei navi umanitarie, senza fornire alternative per sopperire alla loro assenza in mare. Crediamo che nessuno stato possa arrogarsi il diritto di privare il Mediterraneo di assetti di ricerca e soccorso e impedire alla società civile di essere testimone delle violazioni di diritti umani che si consumano al largo delle nostre coste, dove le omissioni di soccorso e i respingimenti illegali in Libia sono all’ordine del giorno.

Negli stessi giorni in cui l’Unione europea annunciava il nuovo patto sull’immigrazione e il governo italiano le modifiche ai decreti sicurezza, con le navi ong bloccate in porto, quasi duecento persone sono annegate nel Mediterraneo in sei diversi naufragi, documentati dal prezioso lavoro dell’organizzazione AlarmPhone.

Sono queste le conseguenze della volontà, da parte dei governi e dell’Europa, di impedire l’attività delle navi umanitarie. Da quando Sea-Watch ha iniziato a operare, in Italia si sono alternati tre governi e tutti, ciascuno a suo modo, hanno cercato di ostacolarci. Noi andiamo avanti e faremo quanto in nostro potere per ottenere giustizia.

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