E’ facile fare ironia sui Cinque stelle, meno analizzarli seriamente. Chi si limita ad irriderli fa lo stesso errore che alcuni navigati politici della sinistra commisero di fronte a Silvio Berlusconi: un fenomeno da baraccone, dissero, destinato a sgonfiarsi in quattro e quattr’otto. Invece l’ex-Cavaliere li ha pensionato tutti, e lui è ancora in campo a giocare la sua partita, per quanto azzoppato. 

Il primo aspetto dei pentastellati  su cui puntare i fari riguarda le ragioni del successo di un movimento senza strutture né mezzi (e qui la differenza da Forza Italia è incommensurabile).

E’ stato il primo esempio di un partito nato, vissuto e proliferato attraverso la rete disdegnando ogni strutturazione tradizionale. Il secondo punto rimanda al ruolo di Beppe Grillo.

Non si conoscono casi, nel panorama dei partiti di successo (un terzo dei voti e l’ingresso al governo), di un capo carismatico,  nel senso pieno del termine, che decida di tornare sulla montagna e lasciare i suoi adepti-apostoli a guidare il gregge . 

Grazie a questa scelta, a cui hanno partecipato vari motivi quali stanchezza, indisponibilità ad intraprendere un nuovo mestiere,  impossibilità di adeguarsi alla “vita quotidiana” della politica in contrapposizione al calore e al turbinio dell’entusiasmo collettivo, Grillo ha mantenuto un intangibile ruolo super partes. E così  l’ "elevato”,  come ironicamente si autodefinisce, può far calare dall’alto le sue (im)posizioni.

Al terzo punto c’è l’ovvia, scontata, crisi di crescita dei figli politici senza più padri (non dimentichiamo la morte di Gianroberto Casaleggio, non rimediabile per via ereditaria).

Questo è il momento che stanno attraversando i pentastellati: un gruppo di giovani – non esiste paragone quanto ad età media dei parlamentari e dei dirigenti – senza altre esperienze politiche se non che quelle brevi e rapsodiche maturate nel movimento, alle prese con la complessità del governo.

La prima fase, insieme a quei volponi della Lega, è stata disastrosa, e i pentastellati sono riusciti ad uscirne solo grazie all’ira fredda e nefasta dell’avvocato del popolo Giuseppe Conte: mai sottovalutare o irridere i guanti di velluto delle  buone maniere, possono celare pugni di ferro.

La seconda fase, avviata insieme ad un personale politico sperimentato e tutt’atro che arrembante, regge ancora  grazie all’ infinita pazienza del segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti; ma ora incombe un punto di non ritorno. Come arrivano i pentastellati a questo tornante?

La svolta organizzativa

Il congresso del M5S, sub specie di “stati generali” digitali, a leggere bene gli esiti, segna una svolta importante verso la maturità. Mentre l’attenzione di tanti si è concentrata su cosa dirà e farà Alessandro Di Battista,  sono passati sotto silenzio i  clamorosi cambiamenti organizzativi.

Il Movimento Cinque stelle ha messo la parola fine all’immaterialità della sua vita interna: d’ora in poi anch’esso si doterà di sedi fisiche nel territorio, in parte finanziate dal centro, di responsabili locali eletti  (ma qui non è ancora chiaro il meccanismo),  e di modalità precise con cui i rappresentati debbono rispondere alla base.

Incomincia il percorso di una maggiore istituzionalizzazione , con una struttura più tradizionale che va ad affiancare l’impalcatura della rete.

Tenendo conto di questo passaggio non sorprende lo sganciamento da Davide Casaleggio e dalla sua società: la decisione di non versare più direttamente a Rousseau i 300 euro dei  parlamentari  -  unita all’inusuale enfasi sulla nomina del nuovo tesoriere -  indica una ripresa in mano di funzioni partitiche incautamente  delegate ad un soggetto esterno.

Cosa cambia per il governo

Se quindi i Cinque Stelle “diventano grandi” al loro interno, si può dire lo stesso sul piano dell’azione di politica e di governo? Qui il percorso è più accidentato, per usare un eufemismo.

Perché il Movimento continua ad essere percorso da due diverse pulsioni che non trovano una sintesi.

Una è ribellista e antipolitica, contro la casta, i poteri forti, le multinazionali e ovviamente l’Europa dei banchieri e dei monopoli (espressione tipica dei comunisti negli anni Sessanta…): una posizione che porta alla chiusura verso l’esterno, e quindi verso gli immigrati, timorosa dei rischi della società aperta, e potenzialmente intollerante per le diversità.

L’altra tendenza è orientata al futuro, entusiasta delle potenzialità di Internet, ecologista, e favorevole all’estensione del welfare e alla riduzione delle diseguaglianze.

Grillo riusciva a far convivere l’antipolitica con la transizione ecologica, l’ostilità all’ Ue con il reddito di base universale da adottare in tutta Europa.  Più difficile conciliare tutto questo per i suoi discepoli.

In questi giorni il Movimento Cinque stelle dovrà decidere in che direzione andare: tornare allo spirito originario, invocazione di tutti perdenti all’interno di un partito, o avanzare ulteriormente versò la maturità accettando scelte congruenti con la convivenza in una coalizione di governo.

Solo i bambini vivono nel delirio di onnipotenza di poter fare tutto quello che vogliono.

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