- Nell’autunno del 2015, la morte del piccolo Alan Kurdi commosse il mondo intero, e la cancelliera tedesca Angela Merkel aprì le porte a un milione di profughi. «Wir schaffen das», ce la possiamo fare, furono le sue parole.
- Perché oggi nessuno sembra più credere che l’Ue, con il suo mezzo miliardo di abitanti, abbia la capacità, nonché il compito, di accogliere chi fugge?
- La pandemia ci ha consegnato con una forza senza precedenti l’immagine di un pianeta interdipendente. Sembra che il nuovo desiderio di muri che emerge dalla crisi, manifesti la rivolta contro questo vincolo.
Dal vertice del G20 sull’Afghanistan non è emersa una posizione comune sulla gestione internazionale dei rifugiati, salvo l’impegno ad aiutare i paesi limitrofi nell’accoglienza dei profughi. Nessun piano condiviso d’accoglienza è inoltre all’orizzonte per l’Unione Europea, dove ad accomunare i ventisette membri è solo la preoccupazione per la difesa delle frontiere esterne. Da un lato, ci sono i dodici paesi firmatari della lettera alla Commissione, che avanza la proposta di costruire un mur



