La sequenza degli eventi è chiara, ma priva di un senso logico: passate le elezioni regionali, scoppia una polemica basata su notizie distorte a riguardo dello stipendio del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che ha gestito l’introduzione del reddito di cittadinanza; in tanti, a cominciare dalla Lega di Matteo Salvini, chiedono le dimissioni di Tridico; il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dice in un retroscena del Corriere della Sera che è ora di cambiare il reddito di cittadinanza, la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova (Italia Viva) rispolvera il solito argomento dei poveri che restano sul divano: «Non c’è stata la possibilità di controllare che i percettori di reddito accettassero i lavori che eventualmente gli  venivano offerti». Lo stipendio di Tridico aumenta e quindi dobbiamo tagliare il reddito di cittadinanza? 

La polemica di partenza è infondata. “Tridico si alza la paga con effetto retroattivo, è polemica all’Inps”, titola Repubblica il 26 settembre, con il primo articolo della serie. Salvo poi pubblicare ieri un pezzo più corretto nel quale si legge che Tridico non si è alzato lo stipendio da solo e che non è retroattivo nel modo indicato nel senso indicato nella prima puntata.

Quando si insedia nel marzo 2019, Tridico doveva guadagnare 103mila euro come il predecessore Tito Boeri (che aveva anche 45mila euro di rimborsi, totale 148mila). Ma la Lega di Salvini gli impone un vice, Adriano Morrone, per il quale non c’è budget: lo stipendio di Tridico viene diviso in due, a lui 62mila euro e 41 al vice.

Nel frattempo prosegue la riforma della struttura di vertice dell’Inps, bisogna nominare un consiglio di amministrazione, a giugno 2019 il governo prevede che al presidente andranno 150mila euro ma poi ci vuole un anno - complice la pandemia - per concretizzare.

Tridico diventa presidente ad aprile e il governo conferma l’emolumento, la «polemica» dentro l’Inps è il collegio sindacale che chiede un chiarimento al ministero sulla decorrenza del nuovo stipendio. Una storia che raccontata subito in questo modo non avrebbe sollevato grandi polemiche. Ma soprattutto non si capisce cosa c’entri con l’attacco al reddito di cittadinanza. 

La parte che non ha mai funzionato della misura anti-povertà è quella delle politiche attive, i famosi navigator: colpa di una riforma a metà del governo Renzi (gestione e fondi al governo centrale, responsabilità di spenderli alle Regioni) e del cedimento dei Cinque stelle alla retorica sui poveri che vogliono solo godersi il sussidio dal divano.

Soltanto 37 mila beneficiari del reddito hanno trovato un lavoro nel 2019, non si sa se per merito proprio o degli oltre 3mila navigator che dovevano aiutarli a riqualificarsi. 

Dopo aver promesso per anni uno strumento universale anti-povertà, hanno costruito una muraglia di burocrazia che esclude molti bisognosi, non riesce a prevenire gli abusi e tratta i poveri come potenziali parassiti.

L’idea che i poveri non chiedano altro che stare sul divano è la versione italiana del mito delle welfare queen americane: uno slogan del Repubblicano Ronald Reagan nella campagna del 1976 per denunciare le donne (nere, ovviamente) che prosperavano grazie a sussidi troppo generosi e troppo permanenti. Le welfare queen non sono mai esistite, come i poveri da divano, ma hanno influenzato decenni di politiche pubbliche americane. 

Mi capita di condurre in questi giorni la rassegna stampa di Radio3, PrimaPagina. Ieri mattina ha chiamato  Antonio da Udine, 60 anni, lavorava in una cooperativa di servizi, prende il reddito  spiega: <Il reddito di cittadinanza è una questione di sussistenza, ho fatto domanda nella speranza che mi aiutasse a trovare un nuovo lavoro, il mio navigator mi ha spinto verso una agenzia interinale, ora sto facendo l’ennesimo corso da saldocarpendiere con prospettiva di stage, pur di rientrare, ma finora non è servito>. Il reddito copre le sue spese di mera sopravvivenza, «campo con quello che resta, 200 euro al mese, purtroppo la seconda fase che noi beneficiari speravamo servisse a tornare nel mondo del lavoro non è mai arrivata».

Ci sono 1,6 milioni di famiglie che hanno beneficiato di reddito di cittadinanza nel 2019, per una spesa complessiva di 3,8 miliardi di euro. Se avessero avuto un centesimo dell’attenzione riservata allo stipendio di Tridico, il dibattito sul reddito di cittadinanza sarebbe molto diverso.

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