In Russia è iniziata la campagna elettorale per le presidenziali del 2024. Nel suo stile narrativo, apprezzato dalle generazioni più mature del suo elettorato e dai nazionalisti, trasversali a tutte le forze politiche, il presidente Vladimir Putin ha informato la nazione «sulle decisioni che si stanno prendendo, su possibili ulteriori passi su questo tema».

La crisi ucraina non è altro che l’epilogo di un revisionismo storico, avviato nella prima legislatura dal presidente Putin, e di un ritrovato status di grande potenza e di orgoglio patriottico dopo le umiliazioni subite dal crollo dell’URSS.

Sono passati quindici anni dalla critica di Putin all’ordine liberale internazionale, espresso nel duro discorso alla conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007 e otto anni dall’annessione (“riunificazione” nel gergo russo) della Crimea e dal conflitto nel Donbass.

Eppure, il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche di Donetsk e Lugansk ha colto di sorpresa i leader europei e ha rivelato che l’eventualità di una minor incursion, formulata dal presidente americano non era la solita gaffe di Joe Biden.

Con la decisione di inviare una “missione di peacekeeping” nel Donbass, il Cremlino ha de facto formalizzato e aumentato la presenza delle truppe russe per riprendere la trattativa negoziale con l’Occidente da una posizione di forza.

L’evoluzione di questa escalation dipenderà, in gran parte, dalle mosse degli Stati Uniti e dell’Ue, senza dimenticare il ruolo del presidente ucraino, Volodomyr Zelensky, che non ha risposto (con saggezza) militarmente alla provocazione della Russia per non assumersi la responsabilità politica di una scelta così complessa.

Gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni limitate alle repubbliche e l’Unione Europea sta preparando un pacchetto di sanzioni nei confronti di persone, entità e banche coinvolte a vario titolo nelle operazioni russe.

Come reagirà la Russia di Putin?

Una costante della politica estera russa è il principio dello “stimolo/risposta”. Se le sanzioni non saranno così “esemplari”, Putin estenderà l’indipendenza all’intera regione (oblast’) del Donbass, limitando sempre di più il controllo esercitato dal presidente Zelensky nella parte orientale del paese.

L’obiettivo finale del Cremlino è il cambiamento di regime per sostituire Zelensky, che non gode di un grande consenso (stimato intorno al venti per cento), con un presidente filo-russo, che insieme al presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko, rappresenterebbero l’immagine di un ritrovato imperialismo russo.

Rimane una questione essenziale: il futuro del gasdotto Nord Stream2 ovvero il potere di ricatto del “Petrostato” in Europa. E, in questo caso, ci vuole quella scelta coraggiosa che il Cremlino non si aspetta.

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