Ha fatto discutere la decisione di Elly Schlein di rifiutare l’invito a dialogare con Giorgia Meloni alla festa di Fratelli d’Italia, Atreju (dal nome del combattente che nella saga NeverEnding Story salva l’impero di Fantasia dalle tenebre).

«Con FdI ci confrontiamo e discutiamo in parlamento», ha dichiarato Schlein. Il gran rifiuto ha destato tanto scalpore da scomodare la stessa Meloni in visita a Zagabria: «Confesso che non mi sto occupando del programma di Atreju… C’era un tempo molto lontano da oggi, in un altro clima, in cui Fausto Bertinotti non aveva timore a presentarsi e a dialogare, pur dall’orgoglio dalla diversità delle posizioni».

Altri tempi, ha commentato a caldo Bertinotti. Evidentemente, la comparazione con il leader di Rifondazione serve ad accreditare l’immagine di una Schlein codarda, non coraggiosa; e, al contrario, di una leader che come Atreju non teme di combattere le forze delle tenebre. Tutto serve a Meloni per far propaganda.

C’è però una ragione non detta che sottostà all’invito di far dialogare Schlein e Meloni fuori dei luoghi istituzionali. La ragione è quella di accreditare, proprio con il contributo della leader della sinistra, la riforma plebiscitaria della Costituzione fin da ora.

Mettendo l’opinione italiana, giornalistica e politica, nella condizione di condire per bene la pietanza che verrà probabilmente servita al tavolo del referendum tra alcuni mesi. Quindi, il parallelo con Bertinotti furbescamente usato da Meloni per dipingere Schlein come timorosa del confronto è capzioso.

In realtà, Schlein ha fatto la mossa giusta. Sarebbe stato un errore aver accettato quel confronto fuori del Parlamento. Avrebbe legittimato l’idea di una campagna tra due leader, quasi una prova generale della futura Repubblica della destra, un plebiscito («volete voi Schlein o Meloni?») per incoronare un Cesare.

Che il popolo elegga direttamente il capo dell’esecutivo (e in subordine la maggioranza) è un pugno nello stomaco per chi crede nella repubblica democratica, per chi ha chiara la differenza che esiste tra eleggere un parlamento (in cui maggioranza e opposizione si formano e si confrontano), ed eleggere un capo dell’esecutivo, un dux al comando della sua maggioranza.

Le elezioni democratiche non sono fatte per eleggere una maggioranza ma per eleggere rappresentanti di tutte le forze in campo, e poi da qui la formazione della maggioranza e dell’opposizione e la loro dialettica. È una visione cesaristica quella che inverte questo processo: ovvero che mette prima il capo del governo che impersona la sua maggioranza. Dell’opposizione ci sarebbe a quel punto bisogno come della tappezzeria: meglio se poco ingombrante.

Invitare la leader del Pd alla festra di Atreju avrebbe avuto questo scopo. Stava a significare inoltre che la maggioranza si sceglie perfino l’opposizione con la quale confrontarsi: si costruisce l’avversario ideale. Due donne: nulla di meglio per pubblicizzare la riforma costituzionale e vincere con il voto femminile! Insomma, la campagna referendaria sarebbe stata approntata in casa Fratelli d’Italia con la collaborazione dell’opposizione.

Nulla di più attentamente orchestrato. E Schlein ha assestato un bel colpo, dimostrando di essere una brava politica, non solo una infaticabile leader in movimento. E benissimo ha fatto a giustificare il diniego con il riferimento a quel Parlamento che la proposta di riforma costituzionale metterebbe in una condizione di minorità. Schlein ha risposto all’invito dicendo che la discussione tra maggioranza e opposizione si fa in Parlamento.

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