I Cinque stelle hanno modificato radicalmente le loro posizioni in politica estera nel corso del tempo. Ma l’elettorato pentastellato si è formato, per un lungo periodo, in contrapposizione con le posizioni “mainstream”  delle maggioranze governative anche sulle questioni internazionali.

L’origine  protestataria e anti-establishment  dei grillini li ha spinti a discostarsi dalla linea pro-europea e filo-atlantica perseguita da tutti i governi. I sostenitori del M5s, però, non mostravano lo stesso approccio storico-ideologico delle destre e delle sinistra radicali nell’opposizione a questi due cardini della politica estera.

La destra era anti-americana nelle sue componenti nostalgiche - che avversavano il materialismo plutocratico opposto ad una visione spirituale della vita - e populiste che insorgevano contro il dominio del dollaro e della finanza internazionale; e la sinistra trasudava ostilità contro l’imperialismo yankee.

L’anti-occidentalismo e l’anti-americanismo di queste visioni si riversava poi , in un processo di risulta, sull’Unione europea che coarta la sovranità  dei popoli. L’ euroscetticismo e la diffidenza del M5s verso l’Ue e, in misura minore, la Nato, manifestavano piuttosto una reazione istintiva rispetto alle scelte dei governi.

Una risposta pavloviana di chi si ritiene alternativo a tutto: un classico sintomo di infantilismo politico, di chi non accetta l’esistente e vuole rovesciare il tavolo senza sapere bene perché. L’ammirazione per il chavismo descamisado alla Di Battista, il corteggiamento cinese lungo la Via della Seta, l’accoppiamento con l’eurofobico Farage a Strasburgo, esprimevano tutti la ricerca di una alterità anti-establishment purché sia.

Tutto questo agitarsi era privo di contenuto politico-strategico, al di là di un certo pacifismo. Per questo, finita l’ubriacatura populista e filo-leghista, il M5s è potuto planare nella realtà, accettando le contingenze imposte dalla nostra collocazione internazionale, nonché dai nostri ideali e interessi. Il percorso iniziato con la scelta filo-europea nell’ elezione di Ursula von der Lyden, vero momento di svolta nelle fortune dei sovranisti del continente, si è poi completato con l’insospettabilmente diligente conduzione della politica estera di Luigi Di Maio.

E chi non si è adeguato, come il presidente filo-russo della commissione difesa, è stato espulso. Il fatto che Conte si sia impuntato sulle spese militari per diluire nel tempo l’impegno finanziario non contraddice questa evoluzione.

In realtà, il leader del M5s non vuole perdere contatto con quell’ opinione pubblica che, seguendo una inclinazione pacifista, non condivide le scelte del governo su questo terreno. Questo mondo, trasversale e poco istituzionale, fluttua intorno ai 5stelle, ma potrebbe anche rifluire su altre sponde o disperdersi nell’astensione. Conte vuole presidiarlo. Mentre Enrico Letta non riesce a farlo.

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