Con la pandemia i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Non solo. Tra quelli che stanno a metà alcuni diventano un po’ più ricchi, altri diventano poveri.

Fino al Covid i ricchi – grazie ai loro servitori benestanti nei giornali e sulle cattedre di economia – hanno fatto passare per oziosa la questione delle crescenti diseguaglianze. Ma adesso i segnali di allarme cominciano a suonare. Non li hanno accesi i radical chic, né la sinistra da divano e neppure l’invidia sociale. Sono proprio le vestali del capitalismo, per adesso quelle più avvertite, a vedere la stabilità sociale minacciata.

Il Guardian qualche settimana fa ha fatto i conti. I super ricchi, quelli che hanno in tasca oltre un miliardo di dollari (pari a circa 850 milioni di euro), sono nel mondo 2.189, il numero più alto di sempre, e nei mesi dei lockdown primaverili hanno aumentato il loro patrimonio complessivo del 27 per cento, da 8 mila a 10.200 miliardi di dollari.

Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, grazie al boom dell’e-commerce, ha visto crescere il suo patrimonio da 115 a 189 miliardi di dollari in poche settimane. Josef Stadler – che nel gigante bancario svizzero Ubs è il capo del cosiddetto family office, cioè la struttura che aiuta i clienti ricchi a diventare più ricchi – analizza il problema.

Duemila persone che diventano sempre più ricche, mentre centinaia di milioni di uomini e donne devono combattere per non finire alla fame, possono innescare la rabbia sociale: «Esiste il rischio che i ricchi finiscano sotto accusa? Sì. Ne sono consapevoli? Sì».

Insomma, il Guardian affronta il fenomeno perché «non è solo moralmente brutto ma anche economicamente distruttivo».

L’aumento delle diseguaglianze segnala che il capitalismo è malato. La questione non riguarda solo i super ricchi ma anche i ricchi normali, per esempio i manager. Secondo la tradizionale classifica curata da Gianni Dragoni per Il Sole 24 Ore, l’anno scorso il presidente della Fca (Fiat Chrysler) John Elkann ha incassato 37,7 milioni di euro.

Attenzione: non li ha guadagnati come azionista di controllo ma proprio in quanto manager: quei soldi insomma non sono i profitti del padrone, ma la retribuzione pagata dagli altri azionisti per il suo lavoro di dirigente.

Elkann quindi è stato pagato 1.250 volte più del dipendente medio italiano che, secondo un recente studio della fondazione Di Vittorio, prende 30 mila euro all’anno. In altre parole, per raggranellare quello che Elkann ha guadagnato nel solo 2019, il salariato medio dovrebbe lavorare 1.250 anni.

Non potendo ovviamente farcela da solo, dovrebbe passare il testimone a figli e nipoti per una trentina di generazioni. Oppure, rovesciando il ragionamento, il padrone ha deciso di meritarsi ogni ora e mezzo quanto dà a un medio impiegato Fiat per un anno di lavoro.

È tutto talmente grottesco che verrebbe da ridere, se tutto questo non ci parlasse di una classe dirigente talmente accecata dalla propria avidità da non capire verso quale baratro sta portando il suo stesso sistema.

Uno dei veri super ricchi, il finanziere americano Warren Buffett, lo disse già nel 2006, alla vigilia della grande crisi: «La lotta di classe la stiamo facendo noi ricchi contro i poveri, e la stiamo vincendo». Solo che si dimenticò di calcolare dove avrebbe portato la vittoria.

Lo stiamo scoprendo adesso, purtroppo, grazie al Covid. Facciamo due conti. In Italia, ci dice la fondazione Di Vittorio, ci sono circa 19 milioni di lavoratori dipendenti, calcolando dalla colf ai grandi manager che si fanno assumere a tempo indeterminato perché il posto fisso è uno schifo solo se lo sognano i poveri.

Se la media è 30 mila, cioè 1.600-1.700 euro netti al mese, dieci milioni, la metà, non arrivano a 1.200 euro netti al mese e in media ne prendono 6-700. Otto milioni guadagnano meno di 2.500 euro al mese. Poi ci sono solo 800 mila persone che guadagnano più di 2.500 euro al mese.

Adesso questo popolo, che non può evadere le tasse e guadagna il 30 per cento meno dei colleghi tedeschi, è diviso in due, esattamente come gli autonomi e i piccoli imprenditori. Qualcuno ha perso il lavoro, qualcuno è rovinato, altri se ne stanno “con il culo al caldo” e mettono soldi da parte.

Se la politica non trova il modo di disinnescare questa bomba sociale avremo un inverno veramente freddo.

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