Qualche giorno prima di Capodanno il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha condiviso con i lettori della Stampa la sua visione sulle sfide europee per il 2022. Nell’intervista Visco spazia dalle regole di bilancio alla necessità di creare una capacità di bilancio europea che renda permanente il programma Next Generation Eu, al debito e allo spread.

Dove la posizione del governatore è più interessante (anche per il suo ruolo di banchiere centrale) è sull’inflazione. Visco fornisce un’interpretazione dei movimenti recenti dei prezzi e una previsione della loro evoluzione dei prossimi mesi, che in larga parte sembra coincidere con quella del Consiglio dei governatori della Bce e riporta la discussione su toni più ragionevoli di quelli visti nelle scorse settimane.

Le previsioni di inflazione dell’istituto di Francoforte sono di un tasso di inflazione che in media sull’anno rimarrà intorno al 3per cento ma che inizierà a decrescere già dai prossimi mesi, per poi tornare intorno al 2 per cento (l’obiettivo della Bce).

Visco ribadisce che la Bce (nonostante qualche malumore interno) non intende accelerare la normalizzazione della politica monetaria, e distingue la situazione degli Stati Uniti da quella europea, dove c’è ancora troppo lavoro disoccupato o sottoutilizzato.

Ma c’è di più: non solo la pressione inflazionistica da noi è meno forte che oltreoceano; ma al di là dei fattori contingenti ci sono rischi al ribasso che fanno temere una nuova frenata dei prezzi e il riemergere di tensioni deflazionistiche.

C’era da temere che la Bce seguisse la Fed, che ha annunciato un rialzo dei tassi già nel 2022 in risposta all’aumento dell’inflazione; è rassicurante che abbia invece scelto di continuare nel suo saggio attendismo. Il rischio che la fiammata temporanea dei prezzi di questi mesi muti in pressione inflazionistica permanenti rimane basso, mentre la situazione macroeconomica (soprattutto con l’arrivo della variante omicron) continua ad essere caratterizzata da elevata incertezza e a necessitare di sostegno da parte delle autorità di politica monetaria.

Come proteggere i più deboli dall’inflazione?

Ribadito che non può essere una restrizione monetaria ad affrontare aumenti di prezzi settoriali e dovuti a colli di bottiglia, si pone comunque il problema di come reagire all’aumento dei prezzi che per quanto temporaneo sta intaccando il potere d’acquisto di famiglie e imprese.

Molti paesi hanno introdotto delle misure di sostegno ai redditi più bassi, come il Fondo di solidarietà istituito dal governo italiano per far fronte al caro bollette, o “l’assegno energia” da cento euro inviato dal governo francese a quasi sei milioni di famiglie transalpine.

Si tratta tuttavia di misure insufficienti e che comunque, quando queste spese dovranno essere finanziate, rischiano di ricadere sulle spalle dei contribuenti che dovrebbero proteggere (ricordiamo che l’opposizione di Italia viva, Forza Italia e Lega ha impedito l’adozione del contributo di solidarietà sui redditi superiori a 75mila euro che avrebbe dovuto finanziare in parte il Fondo di solidarietà).

I controlli dei prezzi non devono essere tabù

Un articolo del Guardian di qualche giorno fa introduce un altro possibile strumento, quello dei controlli dei prezzi. L’autrice, Isabella Weber, richiama l’esperienza dell’inflazione che negli Stati Uniti seguì la Seconda guerra mondiale, causata come quella di oggi da penurie e colli di bottiglia settoriali. Weber mette in guardia sia dall’inazione che dalla stretta fiscale e monetaria (che equipara all’inondazione di una casa da parte dei pompieri per spegnere un focolaio limitato).

Nel secondo dopoguerra, negli Stati Uniti, molti prestigiosi economisti (tra cui alcuni padri nobili della teoria neoclassica, come Paul Samuelson e Irving Fisher) si pronunciarono contro l’abolizione prematura dei controlli sui prezzi introdotti durante la guerra, argomentando che questo avrebbe portato a speculazione e accaparramento di rendite di posizione da parte dei fornitori dei beni scarsi; al contrario, i controlli di prezzo avrebbero dovuto essere mantenuti fin tanto che la capacità normale di produzione non fosse stata ripristinata.

Insomma, rifacendosi a quell’esperienza i governi dei paesi in cui l’inflazione sta erodendo il potere d’acquisto dei consumatori potrebbero imporre dei controlli di prezzo su alcuni beni (ad esempio l’energia), in attesa che i colli di bottiglia si riassorbano e la tentazione di speculare sulla scarsità venga meno.

Si tratterebbe in pratica di replicare, per alcuni beni strategici, la scelta del 2020 da parte del governo Conte II di limitare il prezzo delle mascherine chirurgiche, allora scarse.

All’epoca si scatenò una polemica in cui si arrivò addirittura a scomodare Manzoni e la corsa ai forni del pane per argomentare che i controlli di prezzo avrebbero disincentivato la produzione di mascherine e creato penurie perenni; una polemica che sembra peraltro riemergere in questi giorni con le mascherine Ffp2.

Alcuni dissero che l’esplosione dei prezzi era un segno dell’efficienza dei mercati e avrebbe aiutato ad allocare le mascherine a chi ne aveva più bisogno ed era disposto ad offrire di più.

Come era ovvio e prevedibile, questa applicazione semplicistica della legge della domanda e dell’offerta si rivelò completamente errata.

Il prezzo fissato dal governo garantiva comunque un giusto profitto (evitava solo la speculazione) e limitò gli abusi fin tanto che la produzione di mascherine non riuscì ad adeguarsi alla domanda (e i prezzi scesero ben al di sotto del prezzo regolamentato deciso dal governo).

Naturalmente, i controlli dei prezzi non servono a combattere l’inflazione causata da un surriscaldamento dell’economia: è illusorio pensare di affrontare un eccesso generalizzato di domanda imponendo prezzi amministrati; e vanno sempre usati con estrema attenzione, perché il rischio di introdurre distorsioni è reale. Ma oggi siamo in una situazione particolare in cui un’offerta disarticolata dalla pandemia sta tornando alla normalità più lentamente del previsto e in cui fattori contingenti hanno visto i prezzi dell’energia esplodere.

In questa fase transitoria, in cui si tratta di evitare eccessivi effetti redistributivi di shock settoriali specifici, occorrerebbe considerare controlli dei prezzi temporanei e specifici senza paraocchi ideologici.

Non si tratta di sostituirsi ai mercati, ma di intervenire dove le distorsioni provocano rendite eccessive.

I controlli dei prezzi hanno un altro vantaggio in questo momento di grande incertezza: il costo relativamente basso di un eventuale errore di valutazione.

Se si andasse verso un surriscaldamento dell’economia essi potrebbero essere rapidamente aboliti per far posto a politiche restrittive tradizionali di controllo dell’inflazione. Se al contrario queste fossero adottate senza reale necessità, sarebbe molto più difficile tornare indietro e cancellarne gli effetti recessivi.

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