Un fantasma si aggira per l’Europa: è l’onere del debito dopo il Recovery Fund. Per l’Italia, l’ex ministro Roberto Gualtieri era stato prudente, proponendo molte spese “in sostituzione” di risorse già stanziate.

Il “piano Colao” non si era nemmeno avventurato a dare numeri, Draghi ci si aspetta che rimarrà prudente. I sovranisti spingeranno in direzione opposta.

Sappiamo anche che gli scenari di indebitamento a fine Recovery oscillano tra il 150 e il 160 per cento del Pil, che i vincoli europei daranno verosimilmente allentati, concentrandosi quasi solo sui rischi inflattivi.

Per completare il quadro non vi sono dubbi che se il costo del denaro rimane basso il debito non può preoccupare troppo. Anche se il costo unitario è basso, un grande debito costa comunque molto.

Le voci della prudenza

Ma alcune importanti voci di dubbio si sono levate sull’opportunità di estendere il debito anche se presenta prospettive di bassi costi unitari.

La prima sono due di articoli sull’Economist, che configurano scenari sia per alcuni prezzi critici (il petrolio per esempio), che per i risultati di diversi modelli di simulazione bancari, che per le relazioni tra rendimenti obbligazionari a lungo e a breve che convergono verso possibili rischi inflattivi a livello globale nel medio periodo.

Uno dei due articoli collega queste osservazioni anche al possibile effetto combinato degli stimoli europei ed americani alla ripresa. Entrambi si richiamano poi al concetto che le aspettative nel mondo della finanza tendono spesso ad auto-realizzarsi.

Anche un moderato rischio di aumento del costo del debito si presenta per il quadro italiano come grave: occorre come minimo porre le condizioni che questo rischio possa essere fronteggiato, cioè sia molto solida la prospettiva di crescita economica del paese. Per esempio, un contesto inflattivo che aumenti le entrate fiscali attraverso gli effetti di “fiscal drag” e non attraverso una fisiologica crescita economica potrebbe avere impatti di nuovo recessivi.

Ma alla prudenza verso la dilatazione immediata del debito invitano anche in modo convincente, Tito Boeri e Roberto Perotti su Repubblica. L’argomentazione è semplice e radicale: mentre siamo certi che una riforma fiscale che riduca strategicamente il peso delle tasse, mantenendone la progressività, avrà effetti positivi sulla crescita, questi effetti sono assai più incerti per gli investimenti pubblici del Pnrr, per cui sarebbe meglio attendere per l’uso delle risorse a debito, 127 miliardi, almeno finché non vi siano certezze maggiori sul loro impatto, e limitarsi per ora a spendere gli 82 miliardi non a debito. Con logica analoga si può partire con riforme amministrative a costo zero o comunque molto basso.

Sembra che altri paesi europei stiano valutando, per motivi analoghi la medesima opzione (Spagna e Portogallo, e forse la stessa Francia). L’argomentazione appare rilevante per due motivi convergenti: la capacità di spesa dello Stato e degli enti locali, e la qualità dei progetti.

Occorrerebbe un tale balzo nella capacità di spesa da rendere solidi i dubbi che questa arrivi a buon fine, nemmeno in termini di “scavar buche e riempirle” di keynesiana memoria. E la qualità media dei progetti suscita preoccupazioni non piccole, confermate drammaticamente dalla vaghezza con cui molti di questi sono definiti. Questo vale anche se tutti i progetti si realizzassero in tempo utile.

Non tutta la spesa è ugualmente utile 

La letteratura sugli effetti moltiplicativi degli investimenti pubblici prevede condizioni stringenti per dare responsi univocamente positivi, e tanto più questo in caso di investimenti a debito.

Rimanendo a titolo di esempio nel settore delle infrastrutture di trasporto (32 miliardi), la qualità degli investimenti proposti risulta inaccettabile. Non sembrano esistere, per la gran parte dei progetti, non solo analisi economiche e finanziarie, ma nemmeno analisi di domanda o di impatto ambientale.

E impressioni di analoghe fragilità si riscontrano anche in altri settori, per esempio quelli a più elevato contenuto tecnologico o di innovazione.

In un quadro così incerto, forse davvero conviene puntare nell’immediato sul sicuro effetto di stimolo della domanda e dell’occupazione con la riduzione delle tasse (e la lotta all’evasione/elusione), ottenuto senza costi dalla quota “grant” del Recovery Fund, e sulle riforme a costo zero, e attendere la definizione di progetti di spesa “a debito” quando questi presentino solide garanzie tecniche di promuovere la crescita economica dal Paese, assente da troppi anni.

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