Le presidenziali americane hanno portato una folata di analisi sulla composizione nel voto e del voto religioso: col loro corteo di cliché che spiegano che il vincitore (chiunque egli sia) non ha fatto gli errori del predecessore o che i parametri della volta precedente non si applicano «a una America profondamente mutata». 

Così accanto ai calcoli sul voto delle donne bianche, della America “profonda”, dei neri e dei latinos arriva puntuale la “sociobanalisi” del voto delle persone che si dicono religiose. Che spesso elude una domanda semplice: che non è se le fedi contano nelle elezioni presidenziali (la risposta è sì, sempre), ma se i due appuntamenti elettorali che hanno visto candidato Donald Trump hanno sfruttato o cambiato la fisionomia del cristianesimo americano e del cattolicesimo in modo particolare, che forte dei suoi 51 milioni di elettori ne è ipso facto protagonista.

L'ecumenismo dell’odio

Le tendenze elettorali dei mondi religiosi sono le stesse da decenni: e come hanno dimostrato Blandine Chelini-Pont e Mark J. Rozell (curatori di Catholics and US Politics After the 2016 Elections: Understanding the “Swing Vote”, edito da Palgrave) l’arrivo di Trump non ha cambiato quei trend. Ma ha introdotto un principio di divisione che voleva ridisegnare la fisonomia religiosa del paese puntando a una accordo trans­denominazionale integrista, che padre Antonio Spadaro ha definito con un ossimoro “l’ecumenismo dell’odio”, che è il lascito più difficile se vincerà il cattolico Biden o la questione più drammatica se Trump vincerà adesso o un altro come lui nel 2024.

In un paese che è da sempre “diviso”  fra culture, concezioni o economie, le tradizioni religiose costituivano nervature trasversali, divise fra i partiti, con una proporzione che è sempre meno importante.

Il mondo bianco anglosassoni protestante (i wasp) con la loro pietà, la loro morale e il loro orrore religioso per l’ipocrisia hanno mosso grandi progressi civili dal diritto della famiglia a quello della persona.

I cattolici dovevano dimostrare una lealtà nazionale superiore e che rarissimamente hanno potuto ambire alla presidenza proprio perché sospettabili o di una maggior fedeltà al pontefice incompatibile con la costituzione o di una fedeltà alla costituzione incompatibile con una religiosità limpida.

I mondi del cristianesimo congregazionalista, le ortodossie in diaspora, le chiese uniati, l’ebraismo storico e la comunità islamica dei convertiti e degli immigrati, le oscillazioni da una spiritualità agnostica a viaggi verso universi religiosi esotici, degustati a piccoli sorsi.

Un dio bianco e tetro

In questo paesaggio la crescita delle chiese pentecostali ed evangelicali è stata lenta dentro il paese, e veloce fuori. Anzi se c’era un impegno esso riguardava il trapianto di chiese pentecostali ed evangelicali in America Latina, per dividere ed indebolire il cattolicesimo e le sue teologie della liberazione che solo qualche analista a Washington e a Roma credeva davvero fossero espressione di una contaminazione marxista e non una risposta al peccato strutturale dello sfruttamento e della violenza sul povero.

Poi è arrivato Trump e la sua capacità di dar voce ad un dio d’America, bianco di pelle e tetro nell’anima. Di predicare un vangelo della ricchezza (il prosperity Gospel), ostile ai migranti, suprematista, sintonizzato col cattolicesimo antipapale, peloso verso l’ebraismo, analfabeta davanti all’Islam.

Questa voce ha diviso le chiese: episcopaliani, protestanti mainline, battisti, abituati ad avere a che fare con piccoli concorrenti antagonisti fondamentalisti che predicavano nella Bible Belt o dal televisore si sono trovati scavalcati da un’ala marciante evangelicale, che ha saputo torcere temi e ritornelli in un fondamentalismo nuovo.

Il cattolicesimo indocile a Francesco, ha trovato in Trump un supporto morale e materiale, per organizzare non qualche teologo o rivista, ma un pezzo del collegio cardinalizio e del collegio episcopale: il papa, che aveva dato la più grande bastonata dai tempi di Leone XIII a un leader americano (“chi fa muri non è cristiano”, dichiarò in piena campagna elettorale) s’è trovato contro chi ha saputo usare contro di lui gli errori fatti nei papati precedenti (gli inetti consacrati vescovi, gli irrisolti fatti preti, gli integristi elevati a vaccino contro la secolarizzazione) e le sue modalità di governo solitario del decidere e spiccio nel punire.

Così si è aperta una fessura in cui il trumpismo ha potuto infilare un piede di porco finanziario e ideologico per tentare una spaccatura permanente nella chiesa.

La divina misericordia ha voluto che gli strumenti scelti per questa operazione (i Bannon, i Siri, i Salvini per dire di quelli della passata stagione) non siano stati all’altezza del compito e si siano fermati ad un uso blasfemo delle devozioni cattoliche o a goffaggini diplomatiche (come quella di Pompeo): ma la fessura resta.

Le elezioni del 2020 (a proposito, chi ha vinto?) non l’hanno generata, ma nemmeno curata: se sarà Biden a guidare gli Stati Uniti, dovrà occuparsene - e non perché in quella fessura s’è infilato qualche vescovo che voleva negargli la comunione perché è contrario a una legislazione antiabortista; se sarà Trump sarà il papa che dovrà curarsene, e questa volta non basterà una battuta in aereo.

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