Strana Destra la nostra, nel 1994 Forza Italia sposò la Lega antifascista di Bossi e gli eredi della repubblica Sociale. Ora la premier Giorgia Meloni vuole da un lato concedere ad alcune regioni del Nord fortissime autonomie, dall'altro mutare la Repubblica parlamentare in presidenziale; per rafforzare uno Stato cui sottrae poteri.

Sul presidenzialismo le idee sono vaghe, ma i nuovi poteri regionali spaccherebbero in due il paese, danneggiando, oltre al Sud dai servizi pubblici carenti, anche il Nord; Innocenzo Cipolletta e Giuseppe Pisauro han qui illustrato sminuzzamento di funzioni, dispersione di competenze, contrasti nelle norme di diverse regioni. Che senso avrebbe la scuola, o la ricerca, regionale?

Su LaVoce.info Gianfranco Viesti elenca quelle futili pretese, ma Roberto Calderoli, ministro versato in porcate istituzionali, ci riprova; i nuovi ambiti sarebbero finanziati dalla maggior partecipazione regionale alle imposte statali localmente riscosse.

Aumenterebbe così la tendenza di alcune regioni a spendere, “comprando” consensi senza subire vincoli di bilancio; al caso pagherà Pantalone.

È troppo banale per le lucide menti destrorse finanziare le spese locali con imposte locali, specie sugli immobili? Essi, lo dice la parola, non si muovono; regioni e comuni possono, volendo, conoscerli bene.

Poi c'è la forma che si fa sostanza. Il friabile appiglio dell'art. 116 della Costituzione non può sorreggere, solo con un finale passaggio in parlamento, che può solo bocciare o approvare, le intese fra Stato e regioni, per di più mutabili solo col consenso di queste. Ma forse i ragazzi agitano ora il tema solo per aiutare Salvini e la sua Lega nelle imminenti elezioni lombarde?

Meloni fa dumping: se a Roma segue o tollera linee di dubbia legalità, francamente reazionarie (Decreto Rave, divieti ai salvataggi in mare, notizie riservate diffuse per colpire le minoranze), all'estero vuol parere saggia; copre il mercato interno con la reazione, quello esterno con la moderazione, utile con interlocutori esteri come il cancelliere tedesco. Il dumping regge però solo per poco; o Meloni perde “mercato” qui, o credibilità fuori.

Perciò punta su un grande accordo europeo dei suoi Conservatori e Riformisti col Partito Popolare; per rompere il binomio fra questi e i Socialisti, su cui da sempre si regge la Ue. Se riuscisse, per questa sarebbe la fine, avremmo l'Europa “delle Patrie”, che da tempo Meloni l'auspica; non può sfuggire a quanto così amorevolmente la sospingono, il danno che ne avrebbe l'Italia.

Non un nuovo fascismo incombe, ma l'imbarbarimento politico ulteriore, e il livello misero di governo e classe dirigente; Meloni non se la caverà a lungo sfuggendo le conferenze-stampa per mostrare al popolo gli appunti della sua agenda.

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