“Gli umani rispondono agli incentivi”. Questo è uno storico motto caro agli economisti, e sembra difficilmente contestabile. Ora, l’incentivo all’efficienza per un’impresa privata è il profitto, ovviamente soggetto a vincoli normativi. Per efficienza (che ha molte definizioni) qui consideriamo solo la minimizzazione del costo degli input e l’innovazione di prodotto e di processo.

I servizi pubblici sono per definizione dei monopoli, o “naturali” (per esempio le infrastrutture) o “legali” (cioè decisi politicamente, per esempio gli autobus urbani), altrimenti ci penserebbe il mercato a produrli. Qualche volta per i “monopoli legali” questo accade in caso di liberalizzazioni, e spesso con risultati positivi. Per questa loro natura, in generale le imprese che erogano servizi pubblici non possono cambiare molto il prodotto (legato alla natura delle infrastrutture, nel caso dei monopoli naturali, o agli obiettivi sociali del committente pubblico, nel caso dei monopoli legali), quindi risultano dominanti come obiettivi aziendali le innovazioni di processo (cioè gestionali), e la minimizzazione dei costi.

Convivere coi monopoli

Ma se questi monopoli sono debolmente regolati, cioè per esempio l’impresa non può fallire, o ha come cliente principale lo stato (con ricavi più da sussidi che dalle tariffe riscosse dagli utenti), questi incentivi vengono meno. L’obiettivo principale dell’impresa, pubblica o privata che sia, quasi si capovolge: diventa quello di massimizzare i trasferimenti pubblici. Il problema vero che sorge in questi casi è che lo stato è spesso d’accordo con questo obiettivo distorto: i ministeri responsabili vogliono più risorse possibili da gestire, e i ministri competenti più voti. Si parla allora di “cattura del decisore”, un “fallimento dello stato”, da mettere accanto ai “fallimenti del mercato”. Non ci possono essere molti dubbi in proposito, altrimenti non avrebbe alcun senso costituire autorità regolatorie indipendenti per questi monopoli (cosa che oggi avviene in moltissimi paesi del mondo). I ministeri competenti infatti sarebbero perfettamente in grado di reperire i migliori tecnici sul mercato, se si trattasse di un problema tecnico e non politico. E infatti i ministeri e i politici detestano i regolatori, e cercano di renderli meno indipendenti possibile.

Nel settore dei trasporti gli esempi di distorsioni politiche sono numerosissimi. Il più clamoroso riguarda l’obbligo europeo di mettere in gara i servizi di trasporto pubblico locale (Tpl). L’obbligo è continuamente aggirato con cavilli di ogni tipo, ma soprattutto la normativa italiana consente ai giudici (i comuni) di essere anche concorrenti (con le loro imprese). Ovviamente questo scoraggia ogni reale concorrenza, anche di imprese che potrebbero fornire servizi migliori a costi più bassi. I gestori “terzi” in Italia si contano sulle dita di una mano. Nei servizi locali ferroviari l’obbligo delle gare è stato addirittura abolito per legge, nonostante gli eccellenti risultati che le gare hanno prodotto, per esempio, in Germania.

La protezione a scapito dell’efficienza di monopoli pubblici è riscontrabile per il passato anche per il caso Alitalia, e per le forniture di Fsi. L’Autorità per la concorrenza (Agcm) sostenne anni fa che i prezzi erano tali da proteggere anche i concorrenti meno efficienti (cioè prezzi molto più alti del necessario, e tali ovviamente da generare extraprofitti per quelli più efficienti). Forse non è più così, ma certo non si hanno notizie di fornitori falliti… tutti diventati egualmente efficienti? La vicenda del personale ferroviario, calato di 150mila unità in vent’anni, sembra una clamorosa “eccezione alla regola”, ma non è affatto così: lo straordinario fenomeno è legato all’esistenza di un fondo pensioni speciale e molto generoso, che costa alle casse pubbliche 4 miliardi all’anno (negli ultimi 20 anni 80 miliardi di euro circa). Chiunque, con queste risorse, potrebbe ottenere spettacolari risultati nell’efficientizzazione del lavoro, anche senza investimenti “labour saving”. E gli esempi sarebbero davvero ancora molto numerosi, dentro e fuori dal settore dei trasporti.

Gare e regolatori

Veniamo ora al nocciolo del problema: perché non sembra accettabile che vi siano obiettivi sociali “interni” alla produzione di servizi pubblici, oltre a quelli “esterni” canonici (fornitura a prezzi sociali, o in aree svantaggiate, tutela ambientale ecc.)? Garantire condizioni di lavoro migliori e sicurezza occupazionale ad addetti e a fornitori, non sarebbe legittimo? A risorse date no, perché questo non può che avvenire a spese dell’efficienza, e quindi si penalizzerà la totalità degli utenti dei servizi pubblici (per definizione a più basso reddito degli utenti dei corrispondenti servizi privati). Avranno meno servizi, oppure dovranno pagare tariffe più elevate. Inoltre si proteggono categorie di lavoratori che mediamente sono privilegiate rispetto a quelle del settore privato. Quanto vale poter lavorare in un’impresa che non può fallire? La protezione del lavoro dovrebbe essere universale, e non ricondotta al meccanismo di “voto di scambio” che è alla base del fenomeno, quasi una forma legalizzata di corruzione.

Esiste una seconda obiezione possibile a immettere privati, con sistemi di gare periodiche, nei servizi pubblici: è vero che si ottiene un potente incentivo a ridurre i costi ed a innovare, ma si rischia che ne entrino altri, cioè quelli ad abbassare la qualità dei servizi e a corrompere, direttamente o indirettamente, i “giudici pubblici”. Siamo sicuri che tali rischi non vi siano anche nelle gestioni pubbliche, se pure in forma diversa?

La soluzione “minima” sembra semplice: è essenziale che si possa fare almeno quello che in gergo regolatorio è nota come “yardstick competition” (“competizione per confronto”). Cioè che convivano gestioni pubbliche e private a tutti i livelli, e imprese pubbliche e private imparino le une dalle altre le migliori pratiche gestionali e le più efficaci scelte tecnologiche, sotto una pressione concorrenziale anche solo ipotetica. Speriamo che la legge sulla concorrenza più volte rimandata ma ora imminente rinforzi oltre i meccanismi di gara (che non significano affatto liberalizzazioni né privatizzazioni), anche i regolatori.

Spesso oggi i regolatori risultano presidiati da soggetti vicini o interni alla politica: una scelta che assicura, invece della loro indipendenza, la loro parzialità. Anche perché comunque i regolatori sono tentati da una condizione oggettiva iniziale a non essere imparziali: sono nominati e retribuiti dallo stato.

 

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