Il Financial Times porta la speculazione sul debito pubblico in campagna elettorale: «Gli hedge fund preparano le scommesse più grandi contro il debito italiano dalla fine del 2008». Un avvertimento sullo scetticismo dei mercati o un articolo che serve a creare certe condizioni sui mercati, anziché limitarsi a descriverle? Basta leggerlo – invece di limitarsi a rilanciarlo come hanno fatto molti media – per sentire puzza di bruciato.

Il pezzo è firmato da due reporter finanziari del Financial Times, Laurence Fletcher e Nikou Asgari, uno dei due specializzato nell’industria degli hedge fund, i fondi speculativi che traggono profitti da piccole variazioni del mercato.

Il fatto, diciamo così, alla base dell’articolo è una stima dell’agenzia di rating Standard & Poor: il valore totale dei bond italiani presi in prestito dagli investitori «per scommettere su una caduta dei prezzi è al suo massimo da gennaio 2008».

Si può inferire da questa stima, come fa il giornale, che quindi c’è un picco di scetticismo come non si vedeva dal 2008? No, e dopo vedremo perché (a parte che in Italia la crisi del debito è stata tra 2011 e 2012, quindi quello è il punto di riferimento preoccupante, non un momento a caso molti mesi prima del crac di Lehman Brothers).

Gli interessi di Blue Bay 

Quello che più conta è il resto della struttura dell’articolo. Il resto sembra basarsi sulle analisi e i commenti di Mark Dowding, capo degli investimenti del Blue Bay Asset Management «che sta shortando bond italiani a 10 anni usando derivati noti come futures», scrive il Financial Times.

Molte righe più tardi viene anche citato uno scettico, Decio Nascimento di Norbury Partners, che non sta scommettendo contro il debito italiano perché lo considera protetto dallo scudo della Banca centrale europea. Ma subito dopo c’è la replica di Dowding di BlueBay, che dice che no, lo scudo della Bce (che si chiama Tpi) non è un deterrente contro le scommesse al ribasso.

Fermiamoci un attimo. Guardate questo articolo dalla prospettiva di BlueBay: un fondo hedge vede per ore in apertura del Financial Times, uno dei quotidiani più influenti sui mercati, un articolo che dice che la propria scommessa è corretta, cioè che è il momento di scommettere al ribasso sul debito italiano. Viene citato soltanto un altro fondo che sta facendo la stessa cosa, CQS, che però con il Financial Times non ha parlato.

Quindi un dato di un’agenzia di rating viene commentato da un fondo che sta scommettendo sul ribasso del debito italiano per dire che sì, effettivamente è un buon momento per scommettere al ribasso. La più classica delle profezie che si auto-avverano.

Il fondo Blue Bay fa soldi così, con scommesse al ribasso sul debito italiano. E non soltanto quando ci sono le elezioni, li ha fatti anche durante il governo Draghi.

Nei documenti sull’anno fiscale concluso il 30 giugno 2021, si legge infatti che «il fondo ha generato un rendimento del 3,86 per cento, al netto delle commissioni, con il debito pubblico che ha dato i contributi maggiori alla strategia, con posizioni nella periferia dell’Europa – soprattutto Italia – che hanno contribuito alla performance, mentre il Sud Africa ha contribuito negativamente».

Quindi il Financial Times chiede all’oste se il vino è buono, e quello risponde che non è affatto male. Anzi, che tutti dovrebbero comprarlo. Ma non è l’unico problema. Il Financial Times non mette link al report di S&P e non fornisce alcun dettaglio dell’analisi.

La questione dei volumi

Chi opera sui mercati sa però che quella sintesi non è corretta: non si può dire che un record di posizioni corte (cioè scommessa sul calo del prezzo) del debito italiano in questo momento equivale a un record di sfiducia.

Non è vero che le posizioni corte sono maggiori adesso che nel 2011-2012 o nel 2018, ai tempi della grande speculazione durante la formazione del governo gialloverde. Quello cui il dato citato del Financial Times sembra riferirsi è il volume di titoli di debito pubblico presi in prestito dai fondi (con le operazioni “repo”, repurchase agreement).

Ma non tutto quello che avviene sul debito italiano riguarda per forza l’Italia: visto l’enorme debito pubblico in circolazione, a volte gli hedge fund usano titoli italiani anche nell’ambito di operazioni che riguardano debito meno liquido di paesi omologhi, tipo Spagna o Portgallo. Alcuni che operano in bonos, possono aver bisogno di vendere allo scoperto dei Btp per coprire la posizione, per esempio.

Ci sono poi delle questioni tecniche contingenti: la combinazione tra inflazione e aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali offre opportunità di rapida speculazione ai professionisti, perché cambiano i prezzi delle obbligazioni e cambiano i titoli classificati come “chepest to deliver”, i più economici da consegnare alla scadenza dei contratti future. Questi movimenti non c’entrano con la rischiosità dell’Italia, ma possono ddeterminare scelte di investimento che poi incidono sul prezzo di mercato e sui volumi di Btp presi in prestito.

Al momento, insomma, non si vedono segnali di tensione simili a quelli di cinque anni fa dopo il voto. Magari arriveranno, ma al momento si nota soprattutto l’attivismo di alcuni fondi hedge che trovano l’aiuto dei giornali nel creare il giusto clima che rende più probabile il successo della scommessa al ribasso.

Lo spread, la differenza di rendimento dei titoli decennali italiani con la Germania, resta intorno ai 230 punti, analogo a quello di giugno, prima della crisi di governo e con le elezioni ancora lontane.

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