Nel 2023 il governo Meloni ha compromesso in modo serio le prospettive di sviluppo e benessere dell’Italia, perché ha sbagliato tutto in Europa. Prima ha condotto molto male la trattativa sul nuovo Patto di stabilità, cercando di giocare in proprio e così dividendo il fronte di chi voleva superare le logiche dell’austerità: il risultato è stata la vittoria di una nuova linea rigorista che impone una pesante ipoteca sull’economia italiana, con parametri fissi, poco realistici, e senza distinguere fra spese e investimenti. 

A quel punto, Meloni ha commesso un secondo, grave, errore, bocciando la ratifica del Mes: in questo modo ha ulteriormente isolato l’Italia, separandola per la prima volta, formalmente, dal gruppo dei paesi più integrati.

Scelta suicida

Meloni ha adottato una strada incoerente e suicida, a un tempo, improvvisata, che pone ora l’Italia nella seguente situazione: il governo nazionale è limitato nella capacità di spesa e anche di investimento; contemporaneamente, proprio noi abbiamo inferto un grave colpo all’unica altra possibilità che abbiamo per potere investire, cioè l’integrazione europea.

In che modo ora l’Italia, dopo avere azzoppato il Mes (con argomentazioni del tipo «non mettiamo soldi per salvare le banche tedesche»), potrà domandare nuove risorse europee, o chiedere di rendere strutturali gli eurobond o grandi piani come il Next Generation EU? Eppure è proprio di questo che c’è bisogno, nei prossimi anni, per affrontare le sfide che abbiamo di fronte, da quella ambientale alla lotta contro le disuguaglianze, alla competizione geopolitica e industriale con gli Stati Uniti, la Cina, la Russia. C’è bisogno cioè di più integrazione e di investimenti europei; tanto più se i singoli stati membri, tutti, saranno di nuovo vincolati.

Questo è forse il tema più importante per il futuro del nostro paese (e del nostro intero continente). Ed è qui soprattutto che il governo delle destre si è mostrato inadeguato, umorale, contraddittorio. Nuocendo quindi gravemente all’interesse nazionale. Ancor più, c’è da temere, lo farà in futuro. Perché è evidente a questo punto che l’interesse nazionale risiede nella costruzione di un’Europa federale, capace di mettere in campo quelle politiche sociali, ambientali, industriali che i singoli stati – e specialmente l’Italia dato il livello del suo debito – non possono più fare.

L’unica strada

L’Italia avrà un avvenire, come paese prospero, libero e avanzato, se riuscirà a contribuire in modo attivo alla costruzione dell’Europa sociale e ambientale. Certo, è difficile, ma è l’unica strada. Ed è esattamente l’opposto della retorica e dei propositi di queste destre al governo.

È una prospettiva però pienamente coerente con la storia e gli ideali di alcune forze di opposizione: soprattutto del Partito Democratico (che su questo si differenzia positivamente anche dal Movimento Cinque stelle), come pure in misura diversa di altre formazioni più piccole, dai Verdi a +Europa. In vista delle elezioni europee, queste forze devono presentarsi con un’idea forte, radicalmente alternativa al discorso delle destre: costruire l’Europa sociale e ambientale, un’Europa federale, sovrana e democratica, attraverso un processo di progressiva integrazione (ad esempio con il meccanismo a due velocità delle cooperazioni rafforzate) che veda l’Italia partecipare di nuovo nel gruppo di testa.

Questa è la vera priorità per il nostro Paese, nel tempo che stiamo vivendo, ed è qui che le destre vanno sfidate e sconfitte, perché le loro idee conducono invece sulla strada della povertà e del declino.

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