A palazzo Chigi non hanno capito che con la Calabria stanno giocando col fuoco. Stanno trattando quella terra come se non fosse un pezzo d’Italia, ma una colonia abitata da “mamluk” che non meritano neppure un briciolo di serietà. La giostra dei tre commissari in dieci giorni lo dimostra. Uno sputo in faccia a una regione messa in ginocchio da due emergenze: la pandemia, e lo sfascio totale, al limite del collasso definitivo, del sistema sanitario. Ma non è dilettantismo quello messo in scena da Conte, Speranza, dall’intero Consiglio dei ministri e dalla larga schiera di consulenti e commissari sempre straordinari che svernano a palazzo Chigi e dintorni. C’è tanto di più. E di più grave.

Il primo errore

Il primo errore è stato quello di trattare la “questione calabrese” come se fosse un reality show. Quando il generale Saverio Cotticelli decide di suicidarsi (come commissario, naturalmente) in diretta tv, nessuno si siede a contare fino a dieci. I social impazzano, i giornali sono carichi a pallettoni. Bisogna subito offrire una testa e un nome alla piazza, quella virtuale e quella reale. Nessuno si ferma a riflettere per trovare la competenza più forte, il nome indiscutibile, calabrese o no. Ed ecco spuntare Giuseppe Zuccatelli. Distrutto in poche ore dalle sue infelici performance video. Passa qualche giorno e dal cilindro della maggioranza di governo si affaccia un altro candidato, Narciso Mostarda. Che viene ignorato dai più. E allora perché non puntare sull’ex rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio. Sapete come è andata a finire. Potremmo fermarci qui e buttarla in satira. Ma di mezzo c’è un’emergenza, una regione intera che soffre e piange morti, file di ammalati davanti agli ospedali. E una sanità devastata da mafie, massonerie, malapolitica e lottizzazioni. Sì, la antica e vituperata pratica delle lottizzazioni. La stessa seguita nella vicenda calabra da questo governo. Se Cotticelli che va via era sponsorizzato dai Cinque stelle, Zuccatelli è uomo di Bersani. Se abbandona pure lui c’è il dottor Narciso Mostarda, un caro amico del governatore del Lazio e segretario del Pd Zingaretti. Infine Gaudio, tanto caro al premier Conte, dicono. E con una marcia in più: è apprezzato dalla destra al governo della regione. Ancora una volta dobbiamo citare il governatore facente funzione Nino Spirlì. «Gaudio ha un curriculum che non finisce mai. Avevamo chiesto un calabrese, il premier Conte ci ha ascoltato». Insomma, l’ex rettore (chiacchierato per le inchieste che lo vedono coinvolto, iscritto, a torto o a ragione, nella categoria dei “baroni universitari”) era l’uomo giusto per l’ambiente giusto, nelle aspettative della destra e di Spirlì.

Il sistema politico-clientelare

Il super commissario che non avrebbe fatto la prima e urgente cosa che c’è da fare nella palude della sanità calabrese. Rompere con il sistema politico-clientelare, frenare gli appetiti della potente lobby degli imprenditori della sanità, vedere quali dei 18 ospedali chiusi possono essere riaperti subito, sbloccare le assunzioni di infermieri e medici. Ma soprattutto separare i due piani, quello del necessario rientro dal deficit, dalle strategie da mettere in campo, qui e ora, per affrontare l’emergenza Covid. Per giorni ministri, personalità politiche della maggioranza hanno fatto il nome di Gino Strada. Mai, però, è comparso un atto ufficiale, una decisione scritta nero su bianco. Una telefonata definitiva. Gino Strada aspetta. La sua Emergency è già presente in Calabria e fa un lavoro apprezzato. Ma per giorni la destra lo ha attaccato in modo vergognoso. Personaggi da operetta sono scesi in campo usando il carrarmato. Come il deputato della Lega Mimì Furgiuele che alla Camera ha minacciato «rivolte», e lo stesso Spirlì che non si è risparmiato in insulti da trivio trasmessi via tv. Un medico apprezzato in tutto il mondo per le sue azioni concrete nei teatri di guerra, trattato come l’ultimo dei garzoni. È questa la responsabilità più grande, incancellabile, del governo.

Il fuoco del ribellismo

E non è la sola. Perché con questa grottesca girandola di nomi, si sta irresponsabilmente soffiando sul fuoco del ribellismo. Cova da giorni in Calabria, e la destra è pronta a cavalcarlo. Insieme a genuine proteste, come quelle di qualche giorno fa con decine di macchine e clacson che assediavano la Cittadella (sede della giunta regionale), per attirare l’ attenzione della “politica”, c’è tanto altro. Il coagulo di interessi che per anni ha divorato la sanità calabrese.

Un “sistema” che ha dominato per decenni e che non tollera intromissioni, capace di distruggere chi si mette di traverso. Sono pronti a fomentare la piazza, a spingere alla rivolta con i loro giornali e i politici di riferimento. La parte migliore della Calabria, quella che crede ancora nello stato è sconvolta.

Nino De Masi, imprenditore nel mirino della ‘ndrangheta: «La Calabria è una terra distrutta che non interessa a nessuno». Angelo Sposato, segretario della Cgil: «Il governo agisca subito, nomini una squadra all’altezza della situazione. Autorevole, forte e competente. Ma hanno capito che qui rischia di collassare l’intero sistema sanitario? Altrimenti vengano in Calabria a spiegare la situazione».

Non si sa se qualche ministro si sposterà da Roma, ma un dato è certo, la Calabria non aspetta più.

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