Il genere letterario preferito dai commentatori italiani è il parlare di un argomento senza conoscerlo. Per non sottrarmi come se fossi migliore, ho deciso che parlerò anch’io di qualcosa che non conosco: la scuola.

Sulla scuola ciascuno può vantare un’esperienza ormai maturata, come nelle botti, in decine di anni di cantine polverose. Ne parlerò anche perché, sentendo tutti i giorni mia moglie lamentarsi del fatto che non ne può più di fare l’insegnante, per osmosi entro automaticamente nel rango di coloro che sono senz’altro esperti di scuola.

Per questo, senza alcuna ironica falsa modestia, mi sento molto più esperto di firme ben più illustri che da decenni manipolano il dibattito pubblico sulla base di incomprensioni, rancori e preferenze ideologiche non dichiarate spacciate come verità oggettive. I recenti interventi di Galli della Loggia sul Corriere sono l’ultima puntata di una storia che si ripete da tanto.

La mutazione

In primo luogo, la scuola italiana (dalle primarie alle superiori, e anche l’università ma di questo non parlerò) è veramente cambiata negli ultimi decenni. Da un lato vi è stato un aumento vertiginoso di riunioni e di incarichi burocratici (piani individualizzati, orientamento, programmazione), e dall’altro i genitori sono diventati ansiosi e invadenti.

Il doppio movimento, da un lato amministrativo e dall’altro sociale, agisce come una tenaglia, facendo sì che i docenti si sentano sempre inadempienti o in difetto perché esposti a critiche esterne. Contrariamente alla vulgata che li vede come degli scioperati avulsi dalla realtà, i docenti sono sempre più invischiati in un dover rendere conto molteplice.

Sebbene sembri l’applicazione di un sacrosanto principio di accountability, si rivela, nei fatti, un logorio in cui, da un lato, bisogna produrre verbali e riunioni per giustificarsi in maniera puramente formale di fronte all’amministrazione, e dall’altro ci si deve esporre continuamente di fronte allo sguardo delle famiglie che vogliono avere voce in capitolo ma che, nel farlo, snaturano l’impresa educativa.

Senza considerare i genitori che difendono a tutti costi i figli, la tendenza è nefasta anche nel caso in cui i genitori siano più corretti ed equanimi: l’onnipresenza dei genitori genera comunque minore autonomia negli studenti e minore fiducia nei docenti.

Le richieste

La scuola è cambiata perché è cambiata la società e anche perché le richieste nei confronti della scuola sono molto diverse rispetto agli scorsi decenni. Contrariamente a quanto vuole la vulgata conservatrice, non è tanto una questione di una scuola meno esigente e più permissiva.

E non è nemmeno “colpa” della migrazione che avrebbe abbassato il livello di apprendimento. Si dovrebbe piuttosto riconoscere che sono molteplici i fattori di differenziazione. Oltre a quelli menzionati, la scuola deve riconoscere bisogni educativi speciali – sebbene vi siano probabilmente abusi e storture nel riconoscimento e nella loro gestione – perché la società di oggi può e deve affrontare queste specificità, mentre in passato tutto veniva coperto da un sommario e frustrante giudizio di “asineria”.

Oltre alla differenziazione interna del corpo studentesco, al giorno d’oggi si chiede alla scuola di fare molto di più di quello che si chiedeva in passato. La scuola deve fare orientamento e avvicinare al mondo del lavoro. La scuola deve colmare lacune di socializzazione. La scuola deve educare ai sentimenti e alla cittadinanza.

Di fatto, in molti casi la scuola è una forma di assistenza sociale. Le esigenze dietro tutte queste richieste sono sacrosante, ma rischiano di diventare oneri eccessivi, come se la scuola fosse il parafulmine di tutto quello che non va socialmente a cui demandare incarichi altrimenti insoddisfatti.

L’esito di questa pletora di questioni è il parossismo della formazione degli insegnanti. A differenza di decenni fa, i docenti devono essere laureati in ogni ordine di istruzione. Inoltre, devono aver ottenuto il posto con percorsi abilitanti (in aggiunta ai concorsi). I docenti di adesso hanno solitamente molta più esperienza internazionale di quelli del passato, e annualmente devono seguire corsi di aggiornamento di varia natura (psicologica, pedagogica, o attinente a questioni specifiche).

Con ciò non si vuole far un confronto intergenerazionale, una gara tra chi è più bravo. I requisiti per ogni mansione evolvono socialmente. Ma questo dovrebbe servire per ammettere che non sono necessari ulteriori corsi di aggiornamento per i docenti.

È necessaria, piuttosto, maggiore fiducia e autonomia, senza il tarlo incessante degli adempimenti burocratici o dello stillicidio parentale. Sarebbe necessario anche un aumento della dotazione ordinaria delle scuole per rendere decenti degli edifici vecchi, così come un adeguamento allo stipendio dei docenti.

Attività svolte in luoghi fatiscenti e da persone sottopagate non possono che infondere il sospetto, negli studenti e nelle famiglie, che si tratti di ambiti residuali della vita non degni di fiducia e rispetto, la cui autorevolezza è quindi sottoposta a una continua erosione. Quindi non si può demandare alla scuola l’espletamento di bisogni sociali altrimenti insoddisfatti.

E non si può pensare che tutto quello che comunque viene portato avanti possa essere fatto ad libitum senza un adeguamento delle condizioni strutturali ed economiche. La scuola italiana si basa, in molti casi, sulla dedizione di chi ci lavora. Ma non si deve scambiare la vocazione per una nobile, necessaria e bistrattata attività con una vocazione al martirio.

© Riproduzione riservata