Scriveva Jean-Jacques Rousseau che la legge «considera i sudditi come un corpo collettivo e le azioni come astratte, mai un uomo come individuo né un’azione particolare. Così la legge potrà stabilire che vi siano privilegi, ma non può darne nominativamente a nessuno; la legge può costituire diverse classi di cittadini, stabilire anche i requisiti che daranno diritto a queste classi, ma non può nominare i tali o tal’altri per esservi ammessi».

In uno stato di diritto, questa regola può essere calpestata nel tentativo di agire a fin di bene. Non è forse questa una delle ragioni per cui nel nome della giustizia eguale si criticano le politiche cosiddette di discriminazione positiva quando, per agevolare coloro che si trovano in una condizione di svantaggio, finiscono per creare burocraticamente raggruppamenti di svantaggiati? 

La giustizia suggerisce che si lasci a chi ha bisogno di speciale trattamento di richiederlo conformemente ai requisiti stabiliti dalla legge. Imporre ad una persona di ricevere un trattamento di favore equivale a discriminarla.

Per essere attenta alle specificità o alle esigenze di una parte di popolazione, l’autorità rischia di essere causa di ingiustizie se non agisce con prudenza e saggezza. Questo sembra che stia accadendo agli studenti che devono sostenere esami di maturità abitando in zone recentemente alluvionate dell’Emilia-Romagna.

L’Ordinanza del ministero dell’Istruzione dell’’8 giugno scorso decide – pare di concerto con l'amministrazione scolastica regionale, ma senza sentire il parere di chi opera nella scuola (insegnanti, studenti, dirigenti scolastici) – di eliminare le prove scritte per quegli studenti che risiedono in comuni alluvionati.

L’ordinanza dovrebbe agevolare o venire in aiuto a chi è stato gravemente colpito dalla calamità. Il fatto è che non tutti i residenti in zone decretate alluvionate sono stati colpiti nello stesso modo; ci sono studenti che sono stati solo sfiorati dall'alluvione e che comunque si sentono pronti a svolgere l'esame in forma ordinaria, eppure non possono farlo.

Questi studenti, recita una dichiarazione di dissenso di alcuni insegnanti trasmessami da Lorenzo Morri, docente al Liceo Leonardo da Vinci di Casalecchio di Reno (provincia di Bologna), manifestano, «la legittima aspettativa di poter dimostrare, al pari dei loro compagni ‘non alluvionati’, le competenze già sottoposte a valutazione da parte dei loro docenti nel corso delle impegnative “simulazioni” tenutesi il 5 maggio (italiano) e il 9 maggio (matematica), prima dell’alluvione».

Non si capisce per quale motivo questi studenti non potrebbero sottoporsi, se lo vogliono, alle prove scritte degli Esami di Stato del 21 e 22 giugno. Non sarebbe meglio che si prevedesse che fossero gli studenti a chiedere l’esonero anziché costringerli ad essere esonerati?

È certo che il ministro sia stato mosso dalla buona volontà di aiutare gli studenti, tuttavia la sua ordinanza è malamente concepita, e oltretutto spacca le classi, spesso composte da studenti che provengono da comuni non alluvionati e alluvionati.

I dirigenti scolastici la settimana scorsa hanno cercato di proporre una soluzione di buon senso, ovvero di rimettere la decisione agli studenti stessi. Ma il ministro ha richiamato i dirigenti all'ordine e ha dato disposizione affinché gli "alluvionati" fossero identificati come tali, acquisendo le loro residenze anagrafiche attraverso gli uffici comunali, per poi eliminarli dagli elenchi da fornire alle commissioni d'esame.

Insomma, gli studenti sono obbligati al trattamento di esonero. Questo rovesciamento della logica del soccorso trasforma il trattamento di aiuto in una strategia che crea un gruppo di studenti in ragione del loro essere “alluvionati”. Si tratta di una forma di discrimazione vera e propria. E conferma il detto che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

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